domenica 15 maggio 2011

DI RUTILIO SERMONTI

Vi sembrerà forse strano che io, Rutilio Sermonti, allergico a qualsiasi forma di "ludi cartacei", venga ad invocare da tutti voi il massimo impegno proprio in occasione di una tornata di essi, e cioè dei quattro referendum abrogativi fissati per il 12-13 giugno prossimi. E' che ci troviamo davanti a una smaccata frode con cui i mascalzoni che si sono appollaiati sugli scranni del potere intendono defraudare il popolo anche di quel piccolo residuo di sovranità che consiste nell'arma referendaria, con cui, a differenza che nelle elezioni politiche, è dato al votante di esprimere una volontà, e non soltanto una delega in bianco. Anche per i referendum, sia chiaro, valgono tutte le altre gravi riserve che noi opponiamo al voto anonimo e non qualificato, determinato in massima parte con espedienti persuasori sub-liminali, con illusionismi e con ricatti, ma in certi casi, quando una "opinione pubblica" si sia autonomamente affermata, può darsi il caso che -cosa rara in democrazia- la volontà del popolo abbia una qualche voce in capitolo. La cosa altamente preoccupa il grasso servidorame degli usurai regnanti che si suole definire "classe politica". Essendo però preclare caratteristiche di essa il modesto livello intellettuale e culturale, anzichè contrastare con argomenti quelli dei fautori del referendum abrogativo, magari abusando della profusione di mass media pubblici e privati di cui dispone, preferisce adottare sistemi più grossolani e disonesti, ma di probabile successo. I principali sono due, che vanno a integrare il dato di partenza del diffuso disinteresse per la politica, che fa ormai di quello astensionista il più numeroso dei partiti. Uno consiste nell'esprimere i quesiti referendari in termini tali che la maggioranza dei "consultati" non ci capisca niente, o capisca il contrario. Si comincia dalla formulazione abrogativa, per cui, volendo dire NO a una legge, occorre votare SI. Sarebbe bastato chiedere: "volete conservare?" anzichè :"volete abrogare?" e nessun equivoco sarebbe stato possibile. Ma poi, tutto il gergo giuridico-burocratico in cui i quesiti vengono sottoposti ai votanti è del tutto incomprensibile a chi non sia un giurista nè un burocrate, bensì una casalinga, un contadino o un operaio edile: quelli che fanno "quoziente". L'altro metodo consiste nel fare in modo che i votanti non raggiungano il 50% fissato dall'art. 39 della Legge 357/70 sui referendum. Come? Col silenzio-stampa, e soprattutto col silenzio-TV. Quei pochi che fanno la fatica di leggere i giornali, più o meno, dell'esistenza di un referendum ne hanno notizia. Ma gli altri, i più, i bulimici di piccolo schermo, che ne sanno ? E anche i primi, per quasi la metà, mugugnano "non m'interessa" o "non ne capisco". Ognuno dei destinatari può fare il piccolo sondaggio personale che ho fatto io. Ora, noi sappiamo bene che non c'è nessuno, dai vecchi ai lattanti, a cui il successo del SI "non interessa", e soprattutto dei quesiti 2 (privatizzazione del servizio idrico) e 3 (ritorno al nucleare). Non occorre certo che sia io a illustrare a voi, molti dei quali possono essermi maestri, l'importanza enorme dell'abrogazione di quelle leggi demenziali, vere frecce del Parto della plutocrazia in agonia. Non si tratta dell'effetto Fukushima. E' che l'illimitata disponibilità di energia artificiale non è un bene: è una calamità; è il primo fattore materiale della degenerazione umana; è il maggiore alleato di Mammona. Ogni uomo di buona volontà deve sentire il dovere di impegnarsi per far fallire la sporca manovra che trasformerebbe la vanificazione del referendum in un trionfalistico alibi per i criminali. Nessuno si senta sminuito a parlare il linguaggio delle zolle, delle cucine, delle catene di montaggio e, magari, delle carceri. Ma vi chiedo di trasformarvi tutti, per breve tempo, in maestri elementari, per far capire agli umili quello che non si vuole che capiscano, per spiegare loro l'importanza e il significato dei "QUATTRO SI", per implorarli, se occorre, di non farsi sfuggire questa occasione rara di troncare tentacoli alla piovra. Per uomini come voi, ogni altra parola sarebbe superflua. Enos, Lases, iuvate ! Rutilio

venerdì 24 settembre 2010

Cos'è la riserva frazionaria

La riserva frazionaria è legale, come era legale possedere schiavi alcuni anni or sono. La riserva frazionaria permette di prestare 5.000 quando hai solo 100 e di quei 100, nessuno è tuo. Un po’ come Gesù Cristo che da 5 pani e 2 pesci ha sfamato una moltitudine..
Il sistema della “riserva frazionaria” è una truffa. Certo si tratta di una truffa legale, come quasi tutte le truffe economiche e monetarie. Vediamo come funziona concretamente: quando depositiamo €100 in una banca commerciale, questa apre un conto corrente (c/c) a nostro nome e si impegna a custodire la nostra banconota (vedi “signoraggio”) nel suo caveau, al sicuro dai ladri¹.
Il banchiere a questo punto usa una statistica ormai centenaria che gli dice una cosa molto semplice: solo una parte del deposito appena creato verrà usata (“movimentata”) dal cliente. Quindi il banchiere sa che “quasi sicuramente” la maggior parte dei nostri soldi, dati in sua custodia, saranno immobili nel conto (nella cassaforte) per mesi, per anni. Ricordiamo che il banchiere non è proprietario della nostra moneta, dei nostri soldi, ma ne è solo custode. Ciò nonostante il banchiere considera uno spreco questa immobilità e decide di prestare quanto c’è sul nostro c/c. Oltre alla nostra “comoda disattenzione”² il banchiere ha bisogno del politico corrotto che legalizzi questa truffa con una legge creata appositamente.
Si chiama “Misure dell'accantonamento alla riserva obbligatoria” o più semplicemente “riserva frazionaria” ed è smerciata alla pubblica opinione in modo tale che appaia come una forma di tutela per il correntista.
Ormai l’arroganza del binomio banchiere-politico è tale che oltre al danno si aggiunge la beffa: palesando questa legge come un limite al potere del banchiere di creare denaro da prestare, il politico si presenta come tutore dei nostri interessi ma, per fare un esempio, è come se lo stesso politico decretasse “il numero massimo di frustate da somministrare ad uno schiavo” e nel far questo volesse il plauso pubblico per essere stato un paladino dei diritti dell’uomo.
Ma espressamente, cosa dice questa legge? Semplicemente mette un limite alla quantità minima di denaro che i banchieri devono tenere in cassa.
Questo cosa comporta per noi?
Per noi cambia poco, anzi nulla. Se 100 persone versano €100 sarebbe legittimo aspettarsi che in qualsiasi momento TUTTI i 100 neocorrentisti possano ritirare i propri €100, no? Nella realtà, il banchiere, come detto all’inizio, considera uno spreco tutto quel denaro fermo nei suoi caveaux, e dal momento che conosce (statisticamente) quanto denaro viene ritirato in media dai correntisti, presta il resto, come fosse denaro suo. Se statisticamente solo il 10% viene “movimentato” (ritirato, speso, versato, spostato, ecc..) vuol dire che la banca ha 100 c/c con €100 ognuno, quindi €10.000 e di questi €10.000 solo €1.000 servono in contanti (in cassa) per le operazioni quotidiane (il 10% che dice la famosa statistica, ricordate?).
Quindi €9.000 si possono prendere e usare (prestare) anche se non sono di proprietà della banca! Non dimenticate mai questo concetto. Ve lo immaginate il custode del parcheggio dove lasciate l’automobile mentre siete al lavoro che prende la vostra auto va in giro a caricarci della merce (anche illecita) senza dirvi nulla e senza corrispondervi nulla? Sì, è vero, la banca dà un “interesse”, se “interesse” si può chiamare lo 0,0005% che danno oggi!
Cosa cambia per il banchiere?
Per il banchiere cambia molto perché più è bassa la percentuale da tenere in contanti più egli può prestare. Nel 1957 le banche erano tenute a tenere in riserva il 25% del deposito, nel 1970 erano scese al (circa) 15% e oggi solo il 2% (in alcuni casi lo 0%). Quindi oggi la banca può ricevere €10.000 e prestarne €9.800 (non suoi!) e questo grazie alla legge sulla “riserva obbligatoria o frazionaria”. Ma la truffa non finisce qui. Quei €9.800 prestati andranno prima o poi versati in un altro conto (magari della stessa banca o di altre banche ma poco cambia dato che il sistema bancario è un ”cartello”, come quello della droga). Nel nuovo c/c basterà tenere contanti per €196 (9.800x2%) e si potranno prestare i restanti €9.604 (9.800–196) e il ciclo continuerà sul nuovo conto corrente. Alla fine della fiera, partendo da €10.000, la banca potrà creare e prestare €500.000, ossia 50 volte di più e incamerare i relativi interessi. Tutto senza avere altro che i €10.000 reali iniziali (e che andavano solo custoditi!).
Ora si capisce la potenza delle banche commerciali che possono creare denaro dal nulla (o meglio: moltiplicare quello dei correntisti) con la complicità dei politici corrotti, che danno legalità alla truffa. Voi pensate che per scoprire il trucco basterà andare in 100 allo sportello per riprendersi i €100, giusto? Sbagliato. Matematicamente basterebbe che i primi 3 clienti pretendessero indietro i propri soldi per far cadere il sistema, poiché con la riserva al 2% solo i primi due [del gruppo dei cento iniziali] troverebbero ancora qualcosina.. il terzo rimarrebbe con un pugno di mosche. E così il quarto e tutti gli altri.. purtroppo il sistema accorrerebbe in soccorso della banca in difficoltà e scenderebbe in campo la Banca Centrale in persona a stampare ciò che non è mai esistito (come accade in questi giorni alla Northern Rock Bank).
Un giorno un tale sfamò un mucchio di persone con 5 pani e 2 pesci e in occasione di un pranzo di nozze dissetò tutti gli invitati mescendo vino da un otre semivuoto, ma questa è la vecchia religione.
La nuova religione del Dio Denaro prevede una nuova figura: il banchiere di Caanan, che crea e moltiplica all’infinito denaro. E debito per noi popolino.
18 settembre 2010

COME VISSI L’8 SETTEMBRE 1943

Nell’agosto 1943, la mia famiglia si trasferì a Castel Viscardo, per un periodo di vacanza ma, soprattutto, per stare vicini a mio padre, Comandante dell’Aeroporto di Orvieto che, in realtà, si trovava vicino al piccolo centro di Castel Viscardo.
Mio padre aveva trascorso più di due anni lontano da casa, in Sicilia, come Comandante del 9° Stormo da bombardamento, ed era da poco stato trasferito al 18° Stormo dislocato nel suddetto aeroporto.
La sera dell’otto settembre eravamo quindi tutti a Castel Viscardo in attesa di mio padre che tardava a venire per la cena.
Venne a trovarci Domenico Valentini, figlio del conte Angelo Valentini, Podestà di Castel Viscardo, guardia nobile del Papa, il quale ascoltava giornalmente radio Londra e radio Monteceneri (Svizzera).
I conti Valentini, essendo i “notabili” del paese, mantenevano rapporti di cortesia con il Comandante dell’Aeroporto; così diventarono nostri conoscenti.
Domenico aspettò “il Colonnello” che doveva arrivare dal Campo d’Aviazione.
Arrivò tardi con una faccia cupa e sconvolta come non avevo mai visto prima.
Si poteva vedere la sua acuta sofferenza come se fosse stato colpito da un infarto. La pelle del suo viso, normalmente rossastra per le ustioni subite in un incidente aviatorio, era grigia! Entrò senza salutare, gli si fece avanti Domenico che gli chiese: “Ha sentito Colonnello....” gli rispose prima con uno sguardo che ricordo bene. Non era di rabbia; era di profonda sofferenza interiore. Poi disse: “E’ una vergogna! Una vergogna che rimarrà negli anni a venire..” E guardando noi figli, che non capivamo di cosa si parlasse, disse: “Questi ragazzi non avranno più il senso dell’onore!” Domenico salutò e se ne andò.

Quella sera tirava una brutta aria; mia sorella mi suggerì prudentemente di mangiare gli spinaci senza fiatare. Gli spinaci mi disgustavano: li ingoiai senza masticare, con lunghi sorsi d’acqua. Non si disse nulla a tavola. Poi mio padre parlò con mia madre e subito ritornò all’aeroporto.
Nei giorni seguenti (9 e 10 settembre) mio padre si fece vedere per visite brevissime, non più di quindici minuti, con l’autista pronto in auto davanti al portone. Parlava poco, sottovoce, solo con mia madre.
Nel tardo pomeriggio del giorno dieci settembre, un frastuono ci fece correre al balcone. Una fiumana di gente frenetica correva giù per la strada in discesa che collega l’Aeroporto al centro abitato di Castel Viscardo. Erano scalmanati, sembrava avessero il diavolo alle calcagna, vociavano, si spingevano, buttavano divise, si davano per i campi. Un incredibile caos.
Dopo un poco venimmo a capo dell’accaduto. I tedeschi si erano presentati all’Aeroporto con alcune autoblinde chiedendo di parlamentare. Informato, mio padre dette ordine ad un aviere di accompagnare il Comandante nel suo ufficio. L’aviere pensò bene di squagliarsela così come quasi tutti i militari in forza al campo d’aviazione (quasi 3.000 avieri e graduati). Attraverso il lungo recinto del campo, divelta la rete metallica della recinzione, temendo di dover subire sulla propria pelle le conseguenze della bravata di Badoglio, se la dettero a gambe abbandonando il posto.
Si cercava di avere notizie ma non era per niente facile. Ognuno diceva una cosa diversa aggiungendo qualcosa di suo a quanto aveva sentito.
Nel mentre, ci si accorse che la bicicletta di Venceslao Valentini (detto Lallo) era stata rubata. Nel dramma, il furto della bici diventa fatto prioritario; il Conte Angelo mette in moto la sua auto Bianchi a gas metano. Andiamo a caccia del ladro chiedendo agli sbandati che si dirigono verso il più vicino scalo ferroviario se hanno visto una bicicletta grigia. Notizie contraddittorie finché si arriva alla stazione. Incredibile a dirsi, la stazione funzionava e centinaia di persone, forse un migliaio, si accalcavano in attesa del treno che poi arrivò sbuffando e fumando. Scene fino allora mai viste: ex-soldati, senza disciplina alcuna, sgomitavano e bestemmiavano per guadagnarsi un appiglio che permettesse loro di aggrapparsi al treno in partenza. Il Capo stazione, uno dei pochi ancora con la testa sul collo, non sapeva che cosa fare. Chiedeva inutilmente il biglietto ammonendo quei passeggeri che non avevano alcuna intenzione di acquistarlo. Una baraonda! La bicicletta non si trovò e tornammo sui nostri passi.
All’Aeroporto, mio padre con tutti gli ufficiali era rimasto al suo posto; in un primo tempo fu disarmato ma poi lui stesso convinse l’ufficiale tedesco a restituire le armi a tutti gli ufficiali. Cosa che fu fatta. Chiese anche di uscire dall’aeroporto per venire a casa. Gli prepararono un permesso scritto e lo lasciarono libero “sulla parola”; nonostante l’accaduto, la parola d’un ufficiale aveva ancora qualche valore per i tedeschi!
Ce lo vedemmo arrivare verso le 21 e 30 di sera. Mia madre, dopo gli eventi della giornata, s’era intesa male, era svenuta e veniva assistita dalla contessa Valentini. Eravamo tutti nel giardino dei Conti Valentini quando dal cancello semiaperto entrò mio padre, in divisa estiva (faceva ancora caldo) con il fucile a spalla. Guardò mia madre che si sollevò, si abbracciarono e si misero entrambi a piangere.
Ricordo perfettamente ogni dettaglio anche se, in quel momento, non apprezzavo la gravità degli accadimenti.

.Durante la notte non si dormì per il frastuono che veniva dalla strada. Mia madre s’affacciò al balcone. Tutto il paese era al lavoro. Uomini donne e ragazzi, sapendo che il campo era stato abbandonato e che le sentinelle tedesche erano poche e piazzate solo al’ingresso principale, attraverso la rete di recinzione del Campo d’Aviazione, divelta in più parti dagli avieri in fuga, penetrarono all’interno della zona aeroportuale asportando dai magazzini tutto il ben di Dio che vi si poteva trovare. Tutto veniva preso e trascinato per strada. Grosse forme di formaggio venivano fatte rotolare, sacchi di pasta e riso ed ogni altro tipo di generi alimentari, materassi, coperte, scarpe, paracadute, piatti, posate, oggetti e suppellettili di ogni genere veniva trascinato per strada e nascosto nelle case. L’aeroporto fu letteralmente svuotato. Solo gli aeroplani rimasero al loro posto. Quando i tedeschi se ne accorsero cominciarono a sparare e ci scappò il morto. Ricordo il funerale di un povero giovane e la madre che piangeva dietro la bara portata a spalla: “Figlio, figlio mio!” Ancora mi dispiace per la vita di un giovane ed ancor più per il dolore di quella povera madre. Spero solo che, per giustizia, questa non abbia ricevuto la pensione per il figlio caduto in azione di guerra, magari “partigiana”, “contro il tedesco invasore”. Stava, con tanti altri, rubando. Ma io metterei anche quel povero morto sul conto di Badoglio.

Con calma mio padre rievocò e raccontò quanto accaduto. Alla notizia della resa, ascoltato per radio e per caso, mio padre attese che arrivassero comunicazioni ufficiali, per le normali vie militari. Ordini, in altre parole. L’attesa dopo un po' si fece insostenibile, mio padre cominciò a chiamare telefonicamente il Ministero, nessuna risposta. All’invio di messaggi radio con richiesta di istruzioni non rispose nessuno. Finalmente, all’ennesimo tentativo di chiamare il Ministero, rispose un aviere che disse testualmente: “Signor Colonnello, qui non c’è più nessuno, se la sono squagliata tutti. Io sono qui per ritirare delle carte personali; abbasso la cornetta e me ne vado anche io.”
Mio padre lanciò un ultimo messaggio radio, quasi un S.O.S., nell’etere, rivolto a chiunque stesse in ascolto chiedendo “libertà di agire di iniziativa” (si sa che nessuno nelle forze armate può agire di propria iniziativa senza specifica autorizzazione) ma non ebbe risposta.
Allora cominciò a darsi da fare. Le difese dell’aeroporto erano inconsistenti. La difesa contraerea consisteva in due mitragliatrici, la difesa a terra era affidata a circa centocinquanta fucili e relative baionette. Poche munizioni.
Chiamò la scuola allievi ufficiali di Orvieto dove stavano svolgendo il corso un centinaio di giovani che potevano essere inviati di rinforzo. Nulla, i giovani erano stati subito inviati alle famiglie, la Scuola si era svuotata.
Riuscì a parlare con un generale che gli suggerì di mettere gli aerei “in condizione di temporanea inefficienza”. Il bizantinismo italiano non si smentisce mai! Rendere i mezzi bellici inefficienti quando non c’è un ordine esplicito é reato gravissimo a meno che tali mezzi non stiano per cadere in mano al nemico. Si corre il rischio di fucilazione. Si badi bene che in quei giorni le forze germaniche, anche dopo la dichiarazione di resa, erano ancora nostre alleate, mentre le forze anglo-americane erano ancora nostre nemiche e tali rimasero fino alla firma del trattato di pace che ci fu imposto nel 1947!! Il dilemma era insolubile.
La conclusione fu quella prevista e già verificatasi altrove. Le forze Italiane si sbandarono di fronte ai tedeschi, per fortuna non ci furono conflitti né rappresaglie.
Nei giorni successivi, mio padre rimase al Campo, prigioniero “sulla parola”. I tedeschi gli chiesero di trasportare gli aerei da Orvieto a Vicenza non essendo essi stessi in grado di farlo perché non conoscevano la macchina. Con quegli aerei doveva trasportare anche dei feriti provenienti dal fronte. Mio padre accettò. A Castel Viscardo erano rimasti alcuni militari in attesa di non si sa quale evento. Fra questi mio padre cercò un motorista che potesse aiutarlo ad azionare i motori. Assistetti al colloquio di uno di questi. Come gli altri, non voleva saperne di farsi avanti per paura di essere deportato in Germania. Ricordo che mio padre impegnò la sua parola garantendo al motorista ogni immunità. Il motorista accettò per “fare un piacere” al suo Comandante. Strano come i rapporti personali possano, a volte, condizionare o determinare gli eventi! Finalmente, si riuscì a organizzare il trasferimento degli aerei. Mio padre trasportò, ancor prima della costituzione della R.S.I. ben 20 aerei S-82 e 15 aerei S-81 del suo 18° Stormo al Nord (aeroporto di Vicenza). Gli aeroplani restavano a Vicenza, Lui tornava con una camionetta e riportava un altro aereo e così via tutto da solo. Questa sua attività sarà poi causa di processi e di condanne per “collaborazionismo”.

Verso la fine del mese di settembre, tornammo da Castel Viscardo a Roma anche se sapevamo di andare incontro a bombardamenti e tempi duri. Difatti a Roma cominciavano a difettare i rifornimenti per cui il problema alimentare si faceva sentire pesantemente.
Un camion della Wermacht ci portò alla stazione di Orvieto con tutti i nostri bagagli. Furono gentilissimi anche se non riuscivamo a capirli.
A sera, arrivati a Roma, incappammo nel “coprifuoco”; non circolavano taxi, tram o autobus. Per nostra fortuna un facchino si offrì di accompagnarci col suo carretto, carico dei nostri bagagli, a casa. Così, a piedi, attraverso la città oscurata e silenziosa, in una notte tanto buia che non si vedeva a un palmo dal naso, ci incamminammo verso casa cercando di fare il massimo rumore e camminando al centro della strada; il carretto a mano aiutava a far frastuono col cigolio delle ruote.
Una pattuglia tedesca di guardia alla “Enrico Corradini”, scuola elementare trasformata in ospedale, (oggi scuola Elementare Fratelli Bandiera) ci intimò l’ALT! O meglio, ci intimò qualcosa perché noi non capivamo... Ce lo aspettavamo e per questo avevamo fatto rumore.
Ci fermammo, si avvicinarono due soldati tedeschi con una piccola torcia elettrica., mostrammo i nostri biglietti ferroviari dicendo che eravamo arrivati da poco. Furono gentili, ci salutarono e ci lasciarono proseguire.
Non erano ancora cominciate le “bravate” dei franchi tiratori; forse non sarebbero stati così gentili o quantomeno avrebbero voluto aprire casse e valige. Quella sera, difatti, avremmo potuto, trasportare armi, esplosivo, o altre cose per la guerriglia che si andava organizzando e saremmo riusciti a passare tranquillamente.
Ma noi non concepivamo neppure l’idea della guerriglia.

Francesco Paolo d’Auria

IL GRANDE EQUIVOCO.

IL GRANDE EQUIVOCO.
1à PARTE
Come tutti sappiamo, nel 2011 cadranno i centocinquanta anni dell'unità italiana, ma le celebrazioni e le polemiche sono iniziate già molto prima di questa data. Nel dicembre 2009 la Arianna Editrice ha ripreso un articolo di Michele Fabbri ripreso dal sito del Centro Studi La Runa, che è una recensione del libro Le radici della vergogna di Elena Bianchini Braglia.
Il motivo addotto da Fabbri citando la Bianchini, per cui molti Italiani si vergognano o si vergognerebbero di essere tali, risale alle storture e agli orrori, ai lati oscuri del nostro risorgimento.
Io personalmente non mi vergogno affatto di essere italiano, ritengo la mia identità nazionale una parte molto importante di ciò che definisce la mia identità come uomo. Mandai alla Arianna Editrice una replica che essa pubblicò con grande correttezza; replica nella quale riguardo all'atteggiamento antipatriottico e antirisorgimentale così diffuso, esprimevo il concetto che:
“Si tratta prima di tutto di una forma di snobismo, di snobismo meschino, da anticonformisti fabbricati in serie, rigorosamente uguali a tutti gli altri anticonformisti, che credono di mostrare chissà quale originalità di pensiero proclamandosi antipatriottici, e non riescono a capire che in questa nostra "serva Italia di dolore ostello", è per proclamarsi italiani a testa alta, che ci vuole coraggio”.
Nel marzo 2010 mi è capitato di leggere il bell'articolo di Maurizio Blondet sul sito della Effedieffe, Senza verità, niente risorgimento, dove le ragioni antirisorgimentali sono esposte con chiarezza e persuasività.
Certo, il risorgimento lati oscuri ne ha avuti e non pochi, e occorrerebbe un'assoluta cecità per non volerlo ammettere.
D'un tratto, ho avuto una sorta di intuizione: Non è che tutti noi, patrioti e antirisorgimentali siamo caduti in un equivoco, confondendo due cose molto diverse che sarebbe ora di tenere ben distinte?
Da un lato il sano, normale, doveroso senso di appartenenza alla propria nazione, la cui identità, unità e indipendenza sono state conculcate per secoli e, per quanto riguarda il fenomeno risorgimentale, l'insorgenza spontanea del nostro popolo stanco dell'oppressione e della dominazione straniere. Dall'altro, un movimento politico di uomini con tutt'altre finalità che a un certo punto si è impadronito del moto popolare distorcendolo a finalità non dichiarate e di tutt'altro genere.
Il caso è forse analogo alla storia dei movimenti socialisti che sono nati dalla ribellione naturale e legittima delle classi lavoratrici di fronte allo sfruttamento e alle ingiustizie della rivoluzione industriale, “confiscata” poi da una “intellighenzia” volta a instaurare il sistema di tirannidi e privilegi di tipo sovietico.
La confusione fra le due cose, il normale senso di appartenenza alla nostra nazione e l'inconsapevole complicità con l'internazionalismo massonico volto a scalzare i fondamenti dell'Europa tradizionale (con tinteggiature più o meno risorgimentali), è il grande equivoco che ha pesato sinistramente su tutta la nostra storia, forse secondo solo all'altro grande equivoco “immenso e rosso” che ha indotto a scambiare l'insieme di tirannidi più sanguinarie della storia per “il movimento di liberazione dei lavoratori”. Adesso di quest'ultimo non ci occuperemo, ma vedremo di dissipare una volta per tutte quello che aduggia le radici della nostra “storia patria”.
Giuseppe Mazzini forse uno dei pochissimi ingenui in buona fede che si sono trovati alla testa del moto risorgimentale, dimostrò un barlume di comprensione quando, riguardo all'insurrezione parigina del 1830 che determinò il passaggio del potere “dai castelli alle banche”, scrisse (Dei doveri degli uomini):
“Chiamate traditori quegli uomini? Dovreste chiamare traditrici le loro idee”.
La verità pura e semplice, è che, almeno dopo il 1848, il moto risorgimentale, tanto nella variante garibaldina quanto in quella cavouriana (il solito gioco delle parti fra destra e sinistra fra le quali non c'è nessuna differenza sostanziale) fu “sponsorizzato” dalla massoneria internazionale le cui “teste” si trovavano a Washington, Londra e Parigi. L'unità italiana fu un effetto collaterale di un movimento le cui finalità erano altre, tendente a sostituire in tutta Europa la tradizionale egemonia del sangue delle classi aristocratiche con quella del denaro.
Tutte le volte che l'interesse dell'Italia era in contrasto con quello della loggia, i “patrioti” scelsero quest'ultimo, dando così un'implicita dimostrazione di quale fosse la loro vera “patria”. Cominciarono i garibaldini comandati da Nino Bixio reprimendo con estrema durezza l'insurrezione contadina di Bronte; lì c'era la Ducea di Nelson, lì c'erano interessi inglesi da tutelare. Cerchiamo di avere le idee chiare a questo proposito: mille uomini o poco più, quante erano le camicie rosse, non avrebbero mai potuto avere la meglio su di un regno esteso a metà della Penisola come era quello borbonico, senza il consenso e l'attivo sostegno delle popolazioni. Pochi anni dopo esplodeva nel meridione la rivolta popolare fatta passare per “brigantaggio”, lo scollamento fra le plebi meridionali e lo stato unitario era completo. Questo lo si dovette all'esosa fiscalità piemontese, al servizio di leva obbligatorio, ma prima ancora a Bronte ed episodi dello stesso genere.
Nel 1870 i garibaldini accorrono in Francia ad aiutare Napoleone III contro i Prussiani, quello stesso Napoleone III, per intenderci, che nel 1848 aveva soffocato nel sangue la Repubblica Romana, che nel 1859 aveva abbandonato il Piemonte in guerra con l'Austria concludendo unilateralmente l'armistizio di Villafranca, che nonostante ciò nel 1860 aveva preteso ugualmente l'annessione di Nizza e della Savoia, le cui truppe nel 1867 a Mentana avevano fatto a pezzi gli stessi garibaldini, e che al momento presente era l'ostacolo all'annessione di Roma.
Peggio, molto peggio fecero i diretti eredi di Cavour, la cosiddetta destra storica nel quindicennio 1861-1876, che rinunciarono a priori a qualsiasi progetto di sviluppo industriale e di espansione coloniale perché l'Italia non entrasse in concorrenza con gli interessi inglesi e francesi. Un ritardo che, sommandosi a quelli accumulati nella nostra storia preunitaria, doveva avere conseguenze pesanti per noi per quasi un secolo.
Poiché bene o male, più male che bene, l'Italia era stata fatta, se se ne voleva fare una nazione in grado di avere un posto nel “concerto delle potenze” degno della sua storia e del suo popolo, occorreva una politica che fosse precisamente l'opposto di quella che la destra storica aveva perseguito: industrializzazione, espansione coloniale e un riavvicinamento al mondo germanico.
L'Austria, contro cui avevamo combattuto la maggior parte delle guerre risorgimentali, non era stato che l'ultimo di una lunga serie di invasori e dominatori stranieri iniziata con gli Eruli di Odoacre e gli Ostrogoti di Teodorico.
Quello che possiamo considerare il primo episodio di quel ritrovato orgoglio nazionale che diede vita al risorgimento, non fu una rivolta contro gli Austriaci ma contro i Francesi: la ribellione di Verona ai soprusi delle truppe napoleoniche, che doveva portare alla repressione tristemente nota come “pasque veronesi”; i Francesi erano poi stati di nuovo nostri nemici nel 1848, quando le truppe di Napoleone III erano accorse a soffocare la repubblica romana e a ripristinare lo stato pontificio. Con la Prussia, divenuta impero germanico nel 1871, non avevamo nessun genere di contenzioso; anzi, era grazie ad essa e a Bismark, che avevamo avuto il Veneto nel 1866 e il Lazio con Roma nel 1870.
La Triplice Alleanza stipulata da Germania, Austria-Ungheria e Italia nel 1882 era nella logica delle cose; non solo per l'Italia era essenziale in quanto l'esigenza di una politica coloniale la portava in diretto conflitto con Francia e Inghilterra, ma, considerando le cose in una prospettiva geopolitica e geostrategica, il mondo italo-austro-germanico rappresentava un asse naturale, il nucleo, lo “zoccolo duro” dell'Europa di fronte alla doppia minaccia alla sua preminenza planetaria che veniva da occidente con Londra e Parigi che recitavano sempre più il ruolo di battistrada e vassalli della potenza d'oltre atlantico, e da oriente nella forma fino al 1917 del panslavismo e, a partire da quella data, del comunismo sovietico.
Non si può che constatare la veridicità dell'affermazione di Julius Evola secondo cui l'Italia si trovò a dover combattere la seconda guerra mondiale dalla parte giusta per aver combattuto la prima dalla parte sbagliata. Semmai, si può osservare che se il primo tempo dell'immane conflitto che lacerò il nostro continente dal 1914 al 1945 si fosse concluso con la sconfitta dei nemici dell'Europa, probabilmente avremmo potuto affrontare il secondo in condizioni molto migliori, o forse esso non sarebbe stato nemmeno necessario, e la partecipazione dell'Italia dalla parte giusta fin dal primo momento, avrebbe forse potuto fare la differenza.
Il capovolgimento di fronte del maggio 1915 per l'Italia non fu soltanto il vergognoso preludio di quell'altro disonorevole voltafaccia avvenuto l'8 settembre 1943, ma obbiettivamente andò contro l'interesse nazionale italiano e nella direzione del suicidio dell'Europa, perché sotto le bandiere dell'Intesa erano raccolte le forze anti-europee, in particolare le due potenze che si spartiranno il nostro continente nel 1945 al termine di uno scontro trentennale di cui le due guerre mondiali non furono che il primo e il secondo tempo.
Ancora oggi gli storici (che solitamente riflettono il punto di vista dei vincitori) dimostrano un singolare imbarazzo nel parlare della prima guerra mondiale, un conflitto che sembrerebbe “senza cause”. E' perlomeno strano che quello che secondo ogni logica sarebbe dovuto essere un localizzato conflitto austro-serbo (provocato dall'assassinio del principe ereditario austriaco da parte di un terrorista serbo, non scordiamolo), si sia trasformato all'improvviso in una deflagrazione europea e mondiale in base a null'altro che al meccanismo impazzito delle alleanze.
Ciò non è credibile e, per svelare il mistero, occorre porsi la domanda che si fa ogni buon detective, cui prodest? A chi giova? Chi era interessato a scatenare sul continente europeo un conflitto altamente distruttivo e di lunga durata? Questa domanda ci indirizza verso un indiziato preciso: la Gran Bretagna.
La rivoluzione industriale, lo sappiamo, è iniziata in Gran Bretagna già alla metà del XVIII secolo ed ha assicurato agli Inglesi per tutto l'ottocento un'egemonia planetaria, ma alla fine del XIX secolo l'apparato industriale britannico era ormai obsoleto e perdeva terreno sotto i colpi della concorrenza di due nuove potenze industriali: gli Stati Uniti e la Germania: la scienza tedesca, la tecnica tedesca, l'organizzazione tedesca in particolare erano la meraviglia del tardo XIX secolo. Gli Stati Uniti erano a ogni modo fuori dalla portata del raggio d'azione britannico ed avevano una sfera d'influenza distinta da quella del Vecchio Mondo, ma la Germania era tutto un altro affare, con i Tedeschi si potevano regolare i conti in maniera diretta, anche perché la natura insulare dell'Inghilterra la metteva al riparo dalle conseguenze più distruttive di una guerra continentale.
Queste non sono illazioni: abbiamo una testimonianza precisa che finora gli storici hanno (scientemente o no) ignorato circa il fatto che nei circoli del potere britannico, alle spalle della politica ufficiale, si è preparata la conflagrazione di cui l'attentato di Sarajevo ha costituito l'innesco. Questa testimonianza ci viene da un uomo che scontò con la detenzione la sua opposizione al conflitto, un uomo che molti considerano il maggior filosofo del XX secolo, e che fu certamente uno degli spiriti più indipendenti della sua epoca, il filosofo inglese Bertrand Russell, una testimonianza a dire il vero presentata in una forma abbastanza curiosa, al punto da far pensare che Russell abbia ritenuto che certe cognizioni potessero o possano circolare solo in forma semiclandestina.
In un testo dal buffo titolo, Il terribile giuramento della signorina X, che comprende le non frequenti incursioni di Russell nel campo della narrativa, troviamo un brano molto interessante dal nostro punto di vista, che non contiene esercitazioni letterarie: Leggendo la storia come non viene mai scritta, ne riporto uno stralcio.
Russell in particolare indica un nome preciso fra i politici britannici che furono responsabili di aver preparato il conflitto all'insaputa della nazione, del parlamento, di gran parte dello stesso governo: sir Edward Grey:
“Sir Edward Grey, allora all'opposizione, parlò a favore di quella che poi diventò la politica delle Ententes con la Francia e la Russia, che venne adottata dal governo conservatore circa due anni più tardi e successivamente consolidata da sir Edward Grey quando egli divenne ministro degli esteri. Espressi con decisione il mio parere contro questa politica, che a mio avviso conduceva dritto alla guerra mondiale”
Naturalmente, sir Edward Grey non era il solo.
“Quando la flotta russa sparò contro dei pescherecci inglesi al Dogger Bank, approvai Arthur Balfour [Il primo ministro di allora] del quale in genere pensavo male, perché trattò l'incidente con spirito conciliante. Non mi accorsi allora che stava soltanto preparando guerre di più vasta portata (...).
Ancora meno mi accorsi che durante le elezioni generali del 1906 quando i liberali venivano appoggiati soprattutto perché meno guerrafondai dei tories, sir Edward Grey, senza che né il parlamento né la nazione e neppure la maggior parte del governo ne fossero al corrente, diede il via a quegli accordi militari e navali con la Francia, che c'impegnavano se non altro per una questione d'onore, a sostenere la Francia in guerra, sebbene sir Edward Grey ripetesse più volte in Parlamento l'affermazione che non eravamo impegnati. Il nostro accordo con la Francia ci impegnava ad appoggiare la conquista francese del Marocco, che era un'avventura imperialista del tutto ingiustificata, e condusse a violente dispute con la Germania.
Il nostro appoggio alla Russia ebbe conseguenze anche peggiori. Il governo
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russo soppresse spietatamente la rivolta del 1905, soprattutto in Polonia. I Russi invasero anche la Persia settentrionale e persuasero sir Edward Grey a unirsi a loro per soffocare i tentativi di Morgan Shuster di introdurre in quel Paese un ordinato regime costituzionale. Tutte le atrocità zariste venivano sminuite da sir Edward Grey, che fece tutto ciò che l'opinione pubblica era disposta a sopportare per scoraggiare gli aiuti ai ribelli russi e polacchi (...).
Nei giorni in cui lo scoppio della guerra era chiaramente vicino, speravo con tutte le mie forze che l'Inghilterra restasse neutrale. Sapevo che la Germania del Kaiser, sebbene avesse molti difetti, era molto più liberale di qualsiasi regime di quei tempi, tranne quelli dell'Olanda e della Scandinavia. La Russia zarista aveva da molto tempo riempito d'orrore tutta la gente d'idee liberali, e trovavo intollerabile l'idea di entrare in guerra per sostenerla. Persuasi un gran numero di accademici di Cambridge a firmare una lettera da indirizzare ai giornali a favore della neutralità. Il giorno dopo l'inizio della guerra nove su dieci di quegli accademici espressero il loro disappunto per averla firmata. “The Nation”, il settimanale liberale diretto da Massingham, teneva un pranzo redazionale ogni martedì: andai a quel pranzo il 4 agosto e trovai Massingham e i suoi redattori tutti conviti fautori della neutralità. Poi, dopo solo poche ore, l'Inghilterra entrò in guerra e Massingham mi scrisse la mattina successiva, cominciando “Oggi non è ieri ...” e ritirando tutto ciò che aveva detto il giorno prima. Quasi tutti quelli che negli anni precedenti erano stati oppositori di sir Edward Grey diventarono nel giro di una notte suoi convinti sostenitori. La loro scusa era l'invasione del Belgio da parte dei Tedeschi. Da anni sapevo dai miei amici del collegio dello stato maggiore che in caso di guerra la Germania avrebbe invaso il Belgio. Fui sbalordito di scoprire che tanti uomini politici di primo piano e giornalisti avevano ignorato questo fatto facilmente accertabile, e che tutti i loro pronunciamenti pubblici erano dipesi da questa loro ignoranza”.
La massoneria non aveva amici e strumenti solo a Londra per realizzare il piano inteso a gettare l'Europa nel baratro di un conflitto continentale e mondiale. Una decisione fatale che portò il conflitto austro-serbo a trasformarsi in una deflagrazione planetaria fu la decisione russa di mobilitare le truppe non solo sulla frontiera austriaca ma anche su quella tedesca, essa provocò l'intervento nel conflitto della Germania e, stante l'alleanza anti-tedesca di Francia e Russia, l'apertura del fronte occidentale.
Ebbene, ci rivela Russell, questa decisione così catastrofica fu presa da un solo uomo, il ministro Sokolnikov, all'insaputa dello zar e del suo governo.
“Uno dei fatti che ebbero un'influenza decisiva nel provocare la guerra generale, fu la mobilitazione dell'esercito russo, che fu ordinata dal ministro della Guerra Sokolnikov, all'insaputa dello zar. Fu questo che indusse i Tedeschi a rompere i negoziati.
Ma il patriottismo di Sokolnikov era di tipo particolare. Quando gli Inglesi e i Francesi inviarono rifornimenti alla Russia, Sokolnikov li vendette ai Tedeschi. Per sua sfortuna, la Rivoluzione russa gli tolse la possibilità di godersi il ricavato.
Fu la mia prima esperienza dell'isterismo di massa, e fu difficile per il mio spirito resistere. Pensavo, quando mi trovavo su un autobus o su un treno, “Se questa gente sapesse quello che penso io, mi farebbe a pezzi”.
La stampa era piena di false storie di atrocità, ma chiunque ne dubitasse era un traditore. Appresi più tardi da fonte autorevole che dei film che illustravano atrocità venivano prodotti da una società cinematografica nel Bois de Boulogne e venduti ai belligeranti di entrambe le parti, cambiando solo le didascalie. La storia che i Tedeschi usavano cadaveri umani per fare gelatina venne inventata su misura da un giovane in un ufficio governativo a Londra. Si dimostrò molto efficace e fu una delle principali cause che provocarono l'intervento in guerra, dalla nostra parte, dei cinesi (...).
Gli scopi cosiddetti ideali della guerra offersero alla gente il pretesto per scatenare tutta la ferocia che fino ad allora le regole del vivere civile erano riuscite a mascherare. Mi ricordo in un periodo in cui la guerra andava male e si parlava di pace, che Sydney Webb disse: “Dobbiamo tenere i soldati sotto pressione”. Questo era un atteggiamento abbastanza comune tra chi era esentato dal servizio militare per l'età o per il sesso o per gli ordini sacri.
Il patriottismo naturalmente aveva i suoi limiti. Quando allo scoppio della guerra si formò un governo di coalizione, esso comprendeva sir Edward Carson che aveva da poco comprato armi dal Kaiser, che dovevano essere usate contro il governo inglese [in questo punto vi deve essere nel testo un errore di traduzione o un refuso. Si noti che in questi termini la frase non ha senso, mentre ne avrebbe se fosse “Sir Edward Carson che aveva da poco venduto armi al Kaiser, che dovevano essere usate contro il governo inglese”].
“Scrissi a un amico in America facendo presente quanto questi uomini incrementassero lo sforzo bellico, ma credo che la censura impedì alla mia lettera di arrivare a destinazione”.
Lo stesso atteggiamento nello stesso tempo di truce revanscismo e di totale irresponsabilità riguardo al futuro dell'Europa, i politici britannici lo mostrarono al momento delle trattative di pace (e questo è un discorso che riguarda anche noi che alla pace di Parigi fummo particolarmente maltrattati).
“Le elezioni tenute sulla questione se impiccare il Kaiser subito dopo l'armistizio furono una vergogna sia per il paese sia per il governo. Il governo accettò per placare il clamore popolare, di chiedere ai Tedeschi un'indennità di 26 miliardi di sterline. Quando, dopo le elezioni, qualcuno fece presente a Lloyd George [primo ministro britannico nel 1918] che questa somma era assolutamente eccessiva, Lloyd George rispose: “Caro signore, se le elezioni fossero durate altre tre settimane, i Tedeschi avrebbero dovuto pagare 50 miliardi”. Allora e durante i negoziati di Versailles, Lloyd George era perfettamente conscio che l'opinione pubblica, assetata di vendetta, richiedeva cose impossibili, ma pur ammettendo questa consapevolezza, era cinicamente disposto a rovinare il mondo pur di conquistare la maggioranza”.
Utilizzando la stessa tecnica astuta usata dalla Francia di Richelieu durante la guerra dei trent'anni, Gli Stati Uniti limitarono a lungo la loro partecipazione al conflitto al sostegno economico e materiale a una delle due parti in lotta, per intervenire direttamente solo quando gli altri contendenti erano ormai stremati, e cogliere la vittoria a poco prezzo, ma le motivazioni ultime dell'intervento americano rappresentano un punto che non è stato mai adeguatamente chiarito.
L'affinità etnica, linguistica e culturale con la Gran Bretagna, spesso invocata come spiegazione, è un argomento del tutto inconsistente. Fino alla metà del XIX secolo e oltre, nonostante questa affinità, i rapporti angloamericani erano stati pessimi. Gli Stati Uniti, tra il tardo XVIII e il primo XIX secolo avevano combattuto con l'Inghilterra due guerre “d'indipendenza” la seconda delle quali aveva in realtà come posta il possesso del Canada. Nello stesso periodo, gli eredi di Washington e Franklin erano stati scopertamente dalla parte prima della Francia rivoluzionaria poi di Napoleone. Durante la guerra di secessione americana la Gran Bretagna aveva appoggiato il sud secessionista.
La difesa e/o l'esportazione a livello planetario della democrazia è una specie di alibi standard della politica americana di ogni tempo e luogo, ma in realtà non ha significato a meno di non considerare che per “democrazia” non si intendono genericamente sistemi politici rappresentativi che accordino libertà ai loro sudditi/cittadini, ma una precisa ideologia liberal-massonica che implica parecchie cose, a cominciare dalla superiorità e supremazia degli stessi Stati Uniti, e in questo non differisce in maniera sostanziale dalla funzione del comunismo come giustificazione del sistema di tirannidi che faceva capo all'Unione Sovietica.
La Germania e l'Austria del tardo XIX secolo erano molto diverse dall'Austria e dalla Prussia di un secolo prima, erano fra gli stati più avanzati d'Europa sia in termini di diritti civili sia di riforme sociali, non meno, e probabilmente di più della Francia e dell'Inghilterra, per non parlare dell'Italia che aveva introdotto il suffragio universale soltanto nel 1912 o dell'impero zarista che rimaneva un abisso di arretratezza. Ricordiamo le parole di Russell: solo i regimi dell'Olanda e della Scandinavia erano a quel tempo più progrediti di quello tedesco.
La motivazione vera emerge con tutta chiarezza dal riconoscimento del carattere ingannevole di questi alibi: a Washington si era capito benissimo che la distruzione dell'economia tedesca non avrebbe risollevato le sorti del declinante industrialesimo britannico, e che il vuoto creato dal conflitto sarebbe stato una splendida occasione per imporre al Vecchio Continente l'egemonia economica e industriale americana. Appoggiando l'Intesa, gli Stati Uniti avevano scelto la decadenza del nostro continente.
E l'Italia? La partecipazione italiana al conflitto dalla parte dell'Intesa, ossia gli anglo-francesi e i loro alleati, fu decisa dal re, dalla corte, da una parte del governo in spregio alla Triplice Alleanza e all'insaputa e contro quella che era la volontà palesemente espressa del Paese e dello stesso parlamento che fu scavalcato. Era una decisione che rispondeva realmente all'interesse italiano o non piuttosto a quello della massoneria internazionale cui casa Savoia era indiscutibilmente legata?
La giustificazione classica, il completamento dell'edificio risorgimentale, il pieno raggiungimento dell'unità nazionale con l'annessione di Trento e Trieste, è a conti fatti tutt'altro che persuasiva, perché le vicende della nostra storia avevano lasciato altrettante terre italiane sotto il dominio delle potenze dell'Intesa: Malta sotto il dominio britannico, in mani francesi la Corsica cui nel 1860 si erano aggiunte Nizza e la Savoia in cambio della partecipazione francese alla seconda guerra d'indipendenza (e del voltafaccia di Villafranca), ma soprattutto per un'Italia che aspirasse al rango di grande potenza europea la vera posta in gioco sarebbe dovuta essere l'espansione coloniale, ed era chiaro che qui erano proprio Francia ed Inghilterra a sbarrarci la strada; di più, il controllo inglese del Mediterraneo attraverso l'asse Gibilterra-Malta-Alessandria ci costringeva di fatto entro le nostre acque territoriali. In sostanza, nessuno dei motivi che ci avevano indotti a stipulare la Triplice Alleanza nel 1882, e che poi saranno gli stessi in ultima analisi che ci indurranno a una nuova alleanza con la Germania fra le due guerre, aveva perso di validità.
A leggere la storia delle trattative intercorse fra l'Italia e gli Imperi Centrali da un lato, l'Intesa dall'altro nei dieci mesi che intercorsero fra lo scoppio del conflitto e il nostro intervento, c'è di che rimanere esterrefatti: da parte austriaca si era disposti a concedere la cessione del Trentino e la costituzione di Trieste in territorio libero in cambio anche della sola garanzia della nostra neutralità. Davvero l'Italia ha affrontato lo spaventoso carnaio della prima guerra mondiale, mezzo milione di morti solo per avere il Tirolo meridionale, quello che poi è divenuto l'Alto Adige: quattro montagne e una terra e una popolazione che non erano e mai erano state italiane?
La questione di Trieste, poi, era un po' diversa da come di solito viene presentata dai libri di testo. La città giuliana era indiscutibilmente italiana di lingua, cultura e storia, ma il suo sviluppo a partire dal XVII e XVIII secolo era avvenuto come sbocco sul Mediterraneo dell'impero degli Asburgo, come porto ed emporio che metteva in comunicazione i traffici del Mediterraneo con l'area
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centroeuropea e balcanica. Staccare la città da questo vasto retroterra che ne faceva uno dei porti più importanti del Mediterraneo, avrebbe significato l'inevitabile declino della città. Consapevoli di ciò, i triestini non aspiravano tanto a staccarsi dallo stato austriaco, quanto a un sistema di ampie autonomie che consentisse alla città di tutelare il suo carattere etnico e culturale italiano senza recidere i legami con quel vasto retroterra da cui dipendeva la sua prosperità, in sostanza proprio ciò che l'Austria aveva offerto all'Italia nel 1914 in cambio della semplice neutralità.
Avevano torto? Dopo il collasso dello stato austriaco, la decadenza della città è stata inarrestabile, e oggi è a malapena il fantasma di quel che era un secolo fa, anche se il colpo peggiore è arrivato alla fine della seconda guerra mondiale con l'amputazione dell'Istria e di tutto l'hinterland che un tempo la città aveva. Oggi Trieste è una città di pensionati, le cui attività economiche si riducono al pubblico impiego e al piccolo traffico di frontiera, con l'attività portuale e la cantieristica calate praticamente a zero, in costante calo demografico, dalla quale i giovani sono costretti ad andarsene se vogliono trovare un'occupazione.
C'è un aspetto di questa vicenda che è ancor meno noto: consideriamo semplicemente la geografia: alla metà dell'ottocento la città giuliana mancò l'occasione di diventare un porto d'importanza mondiale. Come collegamento naturale fra il Mediterraneo e l'Europa centrale e orientale, sarebbe stata la più idonea per la propria posizione a trarre i maggiori vantaggi da una via d'acqua che collegasse il Mediterraneo con i mari dell'Oriente evitando il periplo dell'Africa.
Il progetto del taglio dell'istmo di Suez poi realizzato dal francese Ferdinand Lesseps fu concepito in primo luogo e patrocinato con l'appoggio del governo austriaco, da un geniale uomo d'affari triestino, il barone Pasquale Revoltella, e dopo la realizzazione del canale fu a una nave triestina del Lloyd Austriaco (dal 1918 semplicemente “Lloyd Triestino”) che toccò l'onore di inaugurarlo. La cosa però durò poco: Inglesi e Francesi che avevano ben compreso l'importanza commerciale e strategica del canale, ne estromisero presto triestini ed austriaci. Sembra che voglia rivoltare il coltello nella piaga, ma i fatti sono quelli che sono: Francia e Inghilterra sono stati costantemente i cattivi geni della nostra storia dall'ottocento alla seconda guerra mondiale.
I patrioti triestini non avversavano tanto lo stato austriaco quanto il nazionalismo slavo allora in piena fase espansiva; questo semmai portava ad uno spirito di solidarietà fra l'elemento italiano e quello tedesco, anche perché sulla frontiera fra Mitteleuropa e mondo slavo, venivano a crearsi situazioni simili; si confrontino ad esempio Trieste e Praga: in entrambi i casi, una città di altra nazionalità si trovava a dover resistere all'assedio di un contado slavo, italiana Trieste, tedesca Praga, perché per quanto oggi possa sembrare singolare, quella che è oggi la capitale della Repubblica Ceca, fino al 1918 era una città tedesca, e in tedesco hanno scritto e pensato illustri boemi del passato: Sigmund Freud, Franz Kafka, Gregor Mendel.
L'assassinio di Sarajevo provocò a Trieste un'impressione fortissima. Le salme del principe ereditario Francesco Ferdinando e di sua moglie, imbarcate in Bosnia furono sbarcate a Trieste per essere traslate via terra fino a Vienna. C'è un filmato dell'epoca dove si vede il corteo funebre che attraversa Trieste circondato da una folla strabocchevole, composta ma oceanica.
La dichiarazione di guerra alla Serbia fu accolta con entusiasmo dai triestini, sembrava l'occasione di dare una bella e meritata lezione all'oltranzismo slavo di cui Gavrilo Princip, l'assassino di Sarajevo appariva l'incarnazione e l'epitome; naturalmente, i triestini non potevano prevedere che l'oltranzismo slavo avrebbe dato nei decenni seguenti ben altre dimostrazioni di ferocia, a cominciare dal genocidio a lungo misconosciuto delle foibe. In più, i triestini si aspettavano come imminente l'intervento italiano in base alla Triplice Alleanza, pur nella costernazione per l'assassinio del principe ereditario e nell'imminenza del conflitto, fu un momento “magico” in cui pareva di poter finalmente coniugare lealismo verso la casa d'Asburgo e patriottismo italiano.
Il voltafaccia del maggio 1915 gettò i triestini nella costernazione, si sentirono traditi dallo stato italiano. Non era l'ultima volta che i triestini erano destinati a provare questa sensazione, l'avrebbero provata spesso in particolare nel secondo dopoguerra e soprattutto dopo l'accordo di Osimo.
A Parigi nel 1919 provammo un'esperienza amarissima: la vittoria che i nostri fanti avevano conseguito sul campo con tanti sacrifici si trasformò in sconfitta al tavolo della pace. Succube da sempre della massoneria, casa Savoia aveva tradito la Triplice Alleanza per mettere il destino dell'Italia nelle mani dei suoi nemici naturali, ed ora Francia, Inghilterra e gli Stati Uniti che con poco sforzo si erano accaparrati la scena da protagonisti, ci trattavano non da alleati ma da nemici sconfitti.
Nella storia della prima guerra mondiale pubblicata a puntate dalla “Domenica del Corriere” nel 1968, Franco Bandini ha riassunto con grande efficacia la situazione.
“[Gli obiettivi su cui avremmo dovuto puntare erano] le colonie, gli indennizzi finanziari o in materiali, grandi prestiti, soprattutto americani, che ci aiutassero a vincere anche la nostra costituzionale debolezza economica. In altre parole sbocchi commerciali, fonti di reddito in materie prime, apporti di naviglio mercantile, materiali, denaro: tanto maggiori fossero state queste acquisizioni, tanto più forte e feconda sarebbe divenuta la nostra posizione nel Mediterraneo e in Europa.
Non facemmo nulla di tutto questo, gli occhi ostinatamente puntati sull'indistinta costa dalmata e sul magnetico punto focale di Fiume. Al tavolo verde della pace, gli alleati compresero rapidamente che potevano tenerci saldamente incatenati su questi pochi nomi, per essi di nessunissimo rilievo, e approfittarono destramente delle circostanze (...).
Gli alleati non potevano negarci la soddisfazione della polverizzazione dell'impero austriaco, semplicemente perché non era in loro potere resuscitare cadaveri. Ma si sarebbero opposti con energia a qualsiasi rivendicazione che intaccasse i loro interessi e i loro compensi: era chiudere gli occhi davanti alla verità pensare che l'Inghilterra non fosse almeno annoiata dalla nostra ipoteca navale sul Mediterraneo e la Francia da quella terrestre sui Balcani. Si sarebbero sempre opposte a qualsiasi aumento di potenza anche economica, che avrebbe potuto far divenire più potenti quelle ipoteche (...).
In quei tristi e amari mesi del 1919 perdemmo forse per molti decenni, non solo il risultato di quell' immane sacrificio che era stata la guerra, ma anche il frutto del paziente lavoro che i padri avevano accumulato nell'erezione di un grande stato nazionale dal 1870 in poi”.
La guerra e il suo esorbitante costo umano a paragone della modestia dei risultati ottenuti ebbero effetti sconvolgenti sulla società italiana. Durante il cosiddetto “biennio rosso” l'Italia parve sull'orlo di una rivoluzione comunista e il fascismo ne uscì come risposta di quanti – non soltanto borghesi – non volevano che l'Italia si trasformasse in una tirannide di tipo sovietico.
Nel 1922 il re Vittorio Emanuele III accettò la marcia su Roma (che più che un golpe, fu una vistosa dimostrazione che avrebbe potuto benissimo stroncare) e il fascismo perché l'impopolarità della guerra e il caos sociale provocato dal conflitto avevano reso traballante il prestigio dello stato e della monarchia, ma sempre nella prospettiva di sbarazzarsene appena si fosse presentata l'occasione opportuna.
All'uopo tornava buona l'alleanza della monarchia e della corte con la massoneria e i circoli liberal-massonici internazionali per i quali l'ascesa del fascismo e poi dei fascismi in tutta Europa rappresentava una grave interferenza nel progetto di dominio mondiale liberal-massonico-democratico.
La “svolta” decisiva della politica europea fra le due guerre avvenne un po' prima della metà degli anni '30 con l'ascesa di Hitler in Germania e la guerra d'Etiopia con le tensioni fra l'Italia e i franco-britannici a causa – o con il pretesto – di questa impresa coloniale.
Teniamo presente che l'Italia aveva con l'Etiopia un contenzioso che risaliva agli ultimi decenni dell'ottocento, che lo stato del Negus aveva inferto all'Italietta liberale le brucianti sconfitte di Dogali e di Adua. Teniamo presente che Francia e Gran Bretagna dominavano aree enormi del nostro pianeta – la Gran Bretagna da sola quasi un terzo di tutte le terre emerse –; l'indignazione contro l'Italia era pretestuosa e fuori luogo. Non solo: consideriamo che tutte le truppe e i rifornimenti italiani dovevano necessariamente passare per Suez che era controllata dagli Inglesi; se la Gran Bretagna avesse davvero voluto, avrebbe potuto bloccare facilmente l'impresa etiope. No, da parte britannica si voleva che prendessimo l'Etiopia per poterci condannare, buttarci nelle braccia di Hitler e distruggere il fascismo e le ambizioni imperiali italiane nella guerra a venire.
Parliamo di uno storico controcorrente, che ha pagato con una lunga serie di processi quello che per la democrazia è il delitto più imperdonabile, quello di dire la verità, Antonino Trizzino, l'autore di Navi e poltrone, Gli amici dei nemici, Settembre nero. All'inizio di Navi e poltrone, Trizzino segnala una scoperta davvero sorprendente: Un'arma destinata a essere risolutiva nelle battaglie aeronavali, il siluro aereo, fu un'invenzione italiana; nonostante questo, gli alti gradi della nostra marina ne sabotarono la produzione sicché entrammo in guerra quasi del tutto sforniti di essa. Al contrario, un documento dell'Ammiragliato britannico scoperto dallo stesso Trizzino informa che già nel 1938 “quando la guerra con l'Italia era ormai inevitabile” l'Ammiragliato stesso commissionò l'incremento della produzione di aerosiluranti e siluri aerei.
La cosa è talmente sorprendente che Trizzino pensa a un errore di data: il 1938 è l'anno dell'accordo di Monaco, quando Inglesi e Francesi mostravano di contare su Mussolini per contenere l'espansionismo di Hitler. E se non si fosse trattato di un errore di data? Se i Britannici avessero già allora avuto il ramoscello d'ulivo in una mano e il pugnale per colpire alla schiena nell'altra?
Questo spiegherebbe molte cose. Si pensi ad esempio che negli stessi anni era in corso la guerra civile spagnola (1936-1939) e le simpatie e gli aiuti franco – britannici andarono tutti alla parte “repubblicana” cioè comunista. Possibile che le “democrazie occidentali” sottovalutassero così gravemente il pericolo insito nell'avere due stalinismi tendenti a convergere all'estremità orientale ed a quella occidentale del nostro continente? O lo ritenevano un rischio accettabile nella prospettiva di una imminente “resa dei conti” di vasta portata per eliminare “i fascismi”?
Il “casus belli” della seconda guerra mondiale fu la questione di Danzica. Contrariamente a quello che viene spesso raccontato, non si trattò per nulla di un'aggressione proditoria da parte tedesca. Tralasciamo il discorso delle numerose vessazioni cui erano sottoposte le popolazioni dei territori tedeschi passati alla Polonia con il trattato di Versailles, autentiche provocazioni nei confronti della Germania ammesse a denti stretti anche dagli storici ufficiali. Quel che spinse i Polacchi a irrigidirsi sulla questione di Danzica rifiutando ogni mediazione, fu l'assicurazione (mendace) da parte franco – britannica di un intervento tempestivo e massiccio in caso di conflitto con la Germania.
Mi pare ci siano pochi dubbi sulla volontà francese e britannica di arrivare alla guerra.
Per quanto riguarda l'Italia è ormai definitivamente accertato che il re, la corte, gli alti gradi militari fecero, a quanto pare, pressioni in ogni modo perché l'Italia entrasse nel conflitto. Pare che nel maggio 1940, Vittorio Emanuele, riferendosi a Mussolini, esclamasse: “Cosa aspetta quella testa di legno?”
Non va nemmeno sottovalutata la responsabilità degli alti gradi militari – legati alla monarchia – che fecero di tutto per nascondere a Mussolini lo stato di impreparazione e penuria di mezzi del nostro esercito, in modo che egli prendesse la decisione fatale sulla base di dati del tutto falsi. L'Italia, occorre ricordarlo, era appena uscita da due guerre consecutive: quella di Etiopia e quella di Spagna nella quale aveva prodigato con larghezza uomini e mezzi a favore del franchismo, impedendo così l'insediamento di un altro focolaio staliniano nella Penisola Iberica, ma stava per entrare nel più grande conflitto di tutti i tempi con gli arsenali vuoti. Occorre ricordare anche che i Tedeschi, che valutavano correttamente la situazione, non solo non sollecitarono la nostra partecipazione al conflitto, ma la sconsigliarono ritenendo giustamente che l'Italia non sarebbe potuta essere pronta prima del 1942 o del 1943.
Fin dal primo giorno, molta parte degli alti gradi militari sabotò la nostra partecipazione al conflitto, diramando ordini assurdi, impiegando i nostri uomini e i nostri mezzi nella peggior maniera possibile, tenendo gli Inglesi puntualmente informati delle nostre mosse e dei nostri punti deboli. Antonino Trizzino ha, a questo riguardo, raccolto una documentazione impressionante, contenuta nei suoi libri Navi e poltrone e soprattutto – il titolo è già molto esplicito – Gli amici dei nemici.
Si voleva la sconfitta per far cadere il fascismo, era uno sporco gioco giocato sulla pelle dei nostri soldati e marinai e, molto presto, anche su quella delle popolazioni civili che cominciarono a subire lo stillicidio dei bombardamenti. Per questa strada non si poteva arrivare altro che al secondo voltafaccia, quello dell'8 settembre 1943 – tanto più grave di quello del maggio 1915 in quanto compiuto in piena guerra - che non risparmiò all'Italia nessuna atrocità, che aggiunse orrore a orrore, la tragedia della guerra civile a quella del conflitto, che ci procurò l'umiliazione supplementare al momento della stipula del trattato di pace, di tornare a essere i nemici sconfitti dopo anni di “cobelligeranza”.
Indistintamente tutte le nazioni europee, anche quelle schierate in campo antifascista, hanno perso la seconda guerra mondiale, perché l'Europa intera ha perso il suo ruolo planetario per trasformarsi in un condominio russo-americano prima, in una serie di colonie e protettorati USA poi.
Oggi la massoneria è sempre un centro di intrighi, di affari poco puliti, di amicizie impresentabili che opera nella buia zona d'ombra dove si sovrappongono politica, affari e criminalità organizzata, con occasionali puntate nella zona della politica “importante” come fu ad esempio in tempi relativamente recenti il caso della loggia P 2, ma la sua importanza è enormemente diminuita rispetto ai tempi precedenti la seconda guerra mondiale, è stata messa da parte, non serve più perché in ultima analisi anch'essa non era/è niente altro che uno strumento
. Dopo la seconda guerra mondiale e la caduta dell'Unione Sovietica, il vero potere planetario non ne ha più bisogno perché ormai può mostrarsi (quasi) allo scoperto: il potere dell'aristocrazia del denaro, l'informe moloch che ha oro nelle vene, il cui dominio mondiale creato attraverso la dissoluzione di etnie, popoli e culture in una massa amorfa che è il perfetto mercato, ha oggi preso il nome di globalizzazione, e la “democrazia” è un teatrino recitato a uso dei gonzi per dare alla plebe l'illusione di contare qualcosa. Forse l'unico motivo per cui non si riesce ancora a scorgere il volto di questo potere, è che esso non ha nessun volto umano.
In tutto questo, forse, c'è un'unica nota positiva: noi oggi siamo in grado di dissipare il grande equivoco, e sappiamo che fra il senso di appartenenza alla nostra nazione, quel patriottismo del quale proprio non c'è inflazione, che pare sia cosa normale a qualsiasi latitudine tranne che da noi, e la ripulsa, il sentimento di ribellione verso le forze che hanno distrutto la struttura tradizionale delle nazioni europee e le hanno ridotte a colonie degli Stati Uniti, non c'è alcuna contraddizione.
FONTE: Fabio Calabrese

domenica 19 settembre 2010

IL SIGNORAGGIO

Cos'è la riserva frazionaria


La riserva frazionaria è legale, come era legale possedere schiavi alcuni anni or sono. La riserva frazionaria permette di prestare 5.000 quando hai solo 100 e di quei 100, nessuno è tuo. Un po’ come Gesù Cristo che da 5 pani e 2 pesci ha sfamato una moltitudine..

Il sistema della “riserva frazionaria” è una truffa. Certo si tratta di una truffa legale, come quasi tutte le truffe economiche e monetarie. Vediamo come funziona concretamente: quando depositiamo €100 in una banca commerciale, questa apre un conto corrente (c/c) a nostro nome e si impegna a custodire la nostra banconota (vedi “signoraggio”) nel suo caveau, al sicuro dai ladri¹.

Il banchiere a questo punto usa una statistica ormai centenaria che gli dice una cosa molto semplice: solo una parte del deposito appena creato verrà usata (“movimentata”) dal cliente. Quindi il banchiere sa che “quasi sicuramente” la maggior parte dei nostri soldi, dati in sua custodia, saranno immobili nel conto (nella cassaforte) per mesi, per anni. Ricordiamo che il banchiere non è proprietario della nostra moneta, dei nostri soldi, ma ne è solo custode. Ciò nonostante il banchiere considera uno spreco questa immobilità e decide di prestare quanto c’è sul nostro c/c. Oltre alla nostra “comoda disattenzione”² il banchiere ha bisogno del politico corrotto che legalizzi questa truffa con una legge creata appositamente.

Si chiama “Misure dell'accantonamento alla riserva obbligatoria” o più semplicemente “riserva frazionaria” ed è smerciata alla pubblica opinione in modo tale che appaia come una forma di tutela per il correntista.

Ormai l’arroganza del binomio banchiere-politico è tale che oltre al danno si aggiunge la beffa: palesando questa legge come un limite al potere del banchiere di creare denaro da prestare, il politico si presenta come tutore dei nostri interessi ma, per fare un esempio, è come se lo stesso politico decretasse “il numero massimo di frustate da somministrare ad uno schiavo” e nel far questo volesse il plauso pubblico per essere stato un paladino dei diritti dell’uomo.

Ma espressamente, cosa dice questa legge? Semplicemente mette un limite alla quantità minima di denaro che i banchieri devono tenere in cassa.

Questo cosa comporta per noi?

Per noi cambia poco, anzi nulla. Se 100 persone versano €100 sarebbe legittimo aspettarsi che in qualsiasi momento TUTTI i 100 neocorrentisti possano ritirare i propri €100, no? Nella realtà, il banchiere, come detto all’inizio, considera uno spreco tutto quel denaro fermo nei suoi caveaux, e dal momento che conosce (statisticamente) quanto denaro viene ritirato in media dai correntisti, presta il resto, come fosse denaro suo. Se statisticamente solo il 10% viene “movimentato” (ritirato, speso, versato, spostato, ecc..) vuol dire che la banca ha 100 c/c con €100 ognuno, quindi €10.000 e di questi €10.000 solo €1.000 servono in contanti (in cassa) per le operazioni quotidiane (il 10% che dice la famosa statistica, ricordate?).

Quindi €9.000 si possono prendere e usare (prestare) anche se non sono di proprietà della banca! Non dimenticate mai questo concetto. Ve lo immaginate il custode del parcheggio dove lasciate l’automobile mentre siete al lavoro che prende la vostra auto va in giro a caricarci della merce (anche illecita) senza dirvi nulla e senza corrispondervi nulla? Sì, è vero, la banca dà un “interesse”, se “interesse” si può chiamare lo 0,0005% che danno oggi!

Cosa cambia per il banchiere?

Per il banchiere cambia molto perché più è bassa la percentuale da tenere in contanti più egli può prestare. Nel 1957 le banche erano tenute a tenere in riserva il 25% del deposito, nel 1970 erano scese al (circa) 15% e oggi solo il 2% (in alcuni casi lo 0%). Quindi oggi la banca può ricevere €10.000 e prestarne €9.800 (non suoi!) e questo grazie alla legge sulla “riserva obbligatoria o frazionaria”. Ma la truffa non finisce qui. Quei €9.800 prestati andranno prima o poi versati in un altro conto (magari della stessa banca o di altre banche ma poco cambia dato che il sistema bancario è un ”cartello”, come quello della droga). Nel nuovo c/c basterà tenere contanti per €196 (9.800x2%) e si potranno prestare i restanti €9.604 (9.800–196) e il ciclo continuerà sul nuovo conto corrente. Alla fine della fiera, partendo da €10.000, la banca potrà creare e prestare €500.000, ossia 50 volte di più e incamerare i relativi interessi. Tutto senza avere altro che i €10.000 reali iniziali (e che andavano solo custoditi!).

Ora si capisce la potenza delle banche commerciali che possono creare denaro dal nulla (o meglio: moltiplicare quello dei correntisti) con la complicità dei politici corrotti, che danno legalità alla truffa. Voi pensate che per scoprire il trucco basterà andare in 100 allo sportello per riprendersi i €100, giusto? Sbagliato. Matematicamente basterebbe che i primi 3 clienti pretendessero indietro i propri soldi per far cadere il sistema, poiché con la riserva al 2% solo i primi due [del gruppo dei cento iniziali] troverebbero ancora qualcosina.. il terzo rimarrebbe con un pugno di mosche. E così il quarto e tutti gli altri.. purtroppo il sistema accorrerebbe in soccorso della banca in difficoltà e scenderebbe in campo la Banca Centrale in persona a stampare ciò che non è mai esistito (come accade in questi giorni alla Northern Rock Bank).

Un giorno un tale sfamò un mucchio di persone con 5 pani e 2 pesci e in occasione di un pranzo di nozze dissetò tutti gli invitati mescendo vino da un otre semivuoto, ma questa è la vecchia religione.

La nuova religione del Dio Denaro prevede una nuova figura: il banchiere di Caanan, che crea e moltiplica all’infinito denaro. E debito per noi popolino.
¹Per non far confusione chiariamo che i ladri si riconoscono perché sono quelli vestiti male che girano fuori dall’edificio della banca, mentre qui in banca non ci sono ladri perché sono tutti vestiti bene e portano i capelli pettinati e la cravatta bella. E’ importante capire la differenza perché poi uno potrebbe confondersi.

²"Ognuno sa nell'inconscio che le banche non prestano denaro. Quando prelevate dal vostro conto di risparmio, la banca non vi dice che non potete farlo perché ha prestato i soldi a qualcun altro." [Mark Mansfield, economista]
"Temo che il cittadino comune non voglia sentirsi dire che le banche possono creare e creano denaro...” [Reginald McKenna, ex Presidente del consiglio d'amministrazione, Midlands Bank of England]
QUIRINO 1 19/09/2010

COSI’ E’ ANCHE SE L”UNITA” NON LO HA MAI DETTO

Questo per avere solo un’idea contro quali personaggi i fascisti avevano a che fare
Ovviamente operando i dovuti distinguo

Qualche giorno fa un amico lettore, Gianmarco Dosselli mi chiese notizie sull’attentato avvenuto a Milano, in Viale Abruzzi, l’8 agosto 1944. Il signor Gianmarco Dosselli, inviò le notizie a me richieste ampliandole, probabilmente, con altre di fonte diversa, al giornale Bresciaoggi e da qui nuovamente a me rispedite con una diversa interpretazione dei fatti, questi a firma del signor Renato Bettinzioli, probabilmente un redattore del giornale bresciano. Dato che il signor Bettinzioli, a mio modo di vedere ha stravolto i fatti, ritengo mio dovere intervenire. E essenziale una premessa. Dato che l’attentato in questione fu opera di uno o di un gruppo di partigiani, esaminiamo chi erano e come operavano i partigiani. E da ricordare, prima di iniziare, che immediatamente dopo l’8 settembre 1943, da Radio Bari, poi da Radio Salerno e da Radio Napoli, tutte sotto controllo Alleato, venivano lanciati quotidiani appelli incitanti ad uccidere i fascisti. Questo per preparare l’ora del soviet italiano ed eliminare chiunque avesse potuto, in qualche modo, opporsi al disegno comunista. Ed i comunisti si misero immediatamente e diligentemente al lavoro.
Per non perdere tempo anticipo che il partigiano era un illegittimo combattente, in altre parole un fuori legge, quindi, se questo è vero, un fuori legge se uccide qualcuno commette un omicidio.
Ciò premesso, osservo che chiunque per operare nell’ambito legale deve assoggettarsi alle leggi vigenti. Il partigiano operava in codesto ambito? Apriamo il volume riguardante il Diritto Internazionale, a pag. 583 e seguenti, leggiamo: . Mi riferisco alle Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907 (quindi concepite a quasi mezzo secolo dall’inizio del Secondo Conflitto mondiale, nda) e alla Convenzione di Ginevra del 1929. Per brevità (il lettore che volesse approfondire può consultare il volume da me indicato) riporto: <(Sono legittimi combattenti) purché indossino una uniforme conosciuta dal nemico, portino apertamente le armi, dipendano da ufficiali responsabili e dimostrino di rispettare le leggi di guerra>. Il partigiano, almeno per come lo conosciamo e per come più avanti approfondiremo la conoscenza NON rispondeva ad alcuna di queste imperative condizioni: di conseguenza era un illegittimo combattente. I combattenti della Repubblica Sociale Italiana rispondevano a tutte le suddette condizioni, di conseguenza erano legittimi combattenti. Ma le suddette Convenzioni Internazionali prevedevano anche: . Poco più avanti, pag. 584, si legge: . Poco più avanti ancora, quasi per sanzionare la severità di quanto prescritto, leggiamo: .
Ed ora esaminiamo alcuni esempi di come veniva concepita la lotta partigiana. Come ulteriore premessa è bene ricordare che degli oltre 800 mila legittimi combattenti della Rsi, non uno si arruolò per combattere contro altri italiani, ma solo per contrastare l’invasione anglo-americana che proveniva da sud. Qual’era la tecnica bellica partigiana? E chiaramente espressa dal partigiano Beppe Fenoglio ne Il partigiano Jonny: . Così il 29 settembre ’43 cadde assassinato il giovane volontario Salvatore Morelli; due uomini nascosti in un cespuglio freddarono il diciottenne studente. Morelli fu solo il primo di una lunga serie di uccisi alle spalle, beninteso. Decine e decine di altri aderenti alla Rsi caddero per mano degli illegittimi combattenti. Per ordine di Mussolini sino a metà del mese di novembre non venne applicato il diritto di rappresaglia. Un elenco sommario dei caduti viene riportato nel libro di E. Accolla Lotta su tre fronti.
A cosa tendevano questi attentati? Le finalità riportate dall’ex fascistissimo poi super antifascista e capo partigiano Giorgio Bocca, fanno rabbrividire; ecco come Giorgio Bocca intendeva la lotta partigiana: . Quale mente diabolica può giustificare una lotta avente queste finalità? Vi ricordate il Presidente più amato dagli italiani, Sandro Pertini quando si recava a rendere omaggio ai martiri delle Cave Ardeatine? Vi ricordate come si guardava attorno per accertarsi che ci fossero le camere per le riprese TV, mentre si asciugava la lacrimuccia che gli sgorgava pietosa? Ma non ricordava, in quel momento, che era stato uno degli artefici della morte di quegli sventurati in quanto uno dei capi del CVdL, quindi uno degli autori dell’ordine dell’attentato di Via Rasella che ebbe come conseguenza la rappresaglia delle Cave Ardeatine? Ma certo che lo sapeva, come sapeva che i tedeschi si sarebbero avvalsi del diritto di rappresaglia! La verità è che tanti furbacchioni sapevano che quei morti avrebbero fruttato onori e prebende. Così a Cuneo, così a Marzabotto, come a Via Rasella e cento e cento altri casi simili. Boia se si è presentato un attentatore, uno solo ad assumersi le responsabilità e salvare gli ostaggi. Per la verità uno ci fu. Quel certo Salvo D’Aquisto, ma Lui non vale: era un fascista riconosciuto.
Ed ora veniamo all’attentato dell’agosto 1944.
Propongo la testimonianza di Franco Bandini, venuto a mancare, purtroppo, pochi anni fa. Bandini fu uno dei più attendibili storici e testimone diretto di quei terribili giorni. Egli ha scritto (Il Giornale, 1/9/1996): . Seguendo la regola ormai convalidata, Visone, o chi per lui non rispose al bando che preavvertiva la rappresaglia qualora il responsabile non si fosse presentato. Così il 10 agosto vennero prelevati dal carcere di san Vittore quindici persone e fucilate a piazzale Loreto. Ma il cerchio (che poi fu una spirale) non si chiuse con questo fatto doloroso. Seguirà la rappresaglia alla rappresaglia: i partigiani fucilarono a loro volta 45 militari italiani e tedeschi caduti nelle loro mani (30 italiani e 15 tedeschi).
Quanto riportato è solo un episodio di una faida nazionale che è, ancora, tutta da scrivere. Mi auguro che quanto sopra trattato risulti chiaro il mio dissenso dalla tesi del signor Renato Bettinzioli in quanto, ripeto, confido più nella testimonianza di Franco Bandini che in quella del tanto politicizzato signor Bettinzioli.
Prima di terminare desidero proporre una notizia che, molto probabilmente, è sconosciuta alla maggior parte dei lettori. Riprendiamo il volume Diritto Internazionale e apriamolo a pagg. 794-795 e leggiamo: <(…). L’art. 33 della IV Convenzione di Ginevra del 1949, in deroga a quanto prima era consentito dall’art. 50 dei Regolamenti dell’Aja del 1899 e del 1907, proibisce in modo tassativo le misure di repressione collettiva, di cui si ebbe abuso delittuoso nell’ultimo conflitto (…)>. Quindi il Diritto di rappresaglia se era riconosciuto e consentito nel periodo bellico, alla fine del conflitto venne proibito in modo tassativo. Allora chiedo: perché quando detto Diritto era lecito viene continuamente ricordato e condannato, mentre quando il Diritto di rappresaglia, venne tassativamente proibito, i Paesi che ne fanno uso, e tutt’ora se ne avvalgono, non vengono mai ricordati? E mi rivolgo alle rappresaglie commesse dai sovietici in Afghanistan, dagli anglo americani in Corea, in Vietnam, in Irak e, ancora, in Afghanistan. E gli israeliani che per il ferimento o per la morte di un loro connazionale hanno scatenato e scatenano rappresaglie su inermi civili causando morti, feriti e distruzioni.
Spero di avere una risposta a questo quesito, magari dal signor Renato Bettinzioli. Così che, dato che chi scrive queste note ha una sua risposta, possiamo vedere se, almeno su un punto, le nostre idee possano collimare.


Fonte: Filippo Giannini


Quirino 1 09/09/2010

mercoledì 1 settembre 2010

LO SFRUTTAMENTO POLITICO DI AUSCHWITZ

Postato il Mercoledi 16 Febbraio 2005 (0:00) di davide

Cari Italiani,
ho tradotto un articolo importantissimo sull'uso politico dell'Olocausto. l'autore è Gilad Atzmon un ebreo antisionista nato in Israele ma fuggito da quel paese dopo la sua esperienza militare nei territori occupati. oggi vive in esilio a Londra. Noi non possiamo dire un decimo di quello che dice Atzmon, e invece l'articolo spiega molto bene perchè DOBBIAMO dirlo. Non dirlo significa fare il gioco della destra americana e della sinistra parlamentare europea. La lotta antimperialista risulta monca se non si smaschera l'uso politico dell'olocausto. l'articolo potrebbe completare l'analisi del Mito della Guerra Giusta di Powels. saluti e buona lettura.
Mauro
IL MITO DELLA SOCIETA' APERTA
DI GILAD ATZMON*
Sessanta anni dopo la liberazione, Auschwitz è diventato un evento politico internazionale. Non è una coincidenza e credo che dovremmo fermarci un momento e chiederci: Perché ora? Perché Auschwitz?

Noi che viviamo in un'epoca tecnologica, troviamo naturale che la maggior parte dei commentatori giudichino qualsiasi avvenimento analizzandone gli aspetti positivi, cioè la storia che essi contengono, i fatti su cui concentrare l'attenzione, il messaggio che se ne trae. Quando si parla di Auschwitz, si sottolineano solo il numero terrificante delle vittime, Mengele e i suoi esperimenti, la morte clinica di massa, le camere a gas, i treni, il famoso Arbeit Macht Frei sul cancello d'ingresso, la marcia della morte poco prima della liberazione, ecc. E tuttavia, io direi che è per lo meno altrettanto illuminante esporre ciò che il racconto di Auschwitz serve a nascondere. Ogni racconto storico può essere utilizzato come uno schermo fumogeno; e può diventare uno strumento molto efficace per far affermare la cecità collettiva. I racconti di Auschwitz e dell'Olocausto, in questo senso, non sono affatto diversi.
A quanto pare, pur senza impegnarci a rispondere alle molte domande che minano la validità della versione dell'Olocausto che è attualmente accettata dalla maggioranza della gente, noi possiamo senza pericolo chiederci a cosa serva oggi la versione ufficiale dell'Olocausto. Chi ne tragga beneficio. Abbiamo altresì il diritto di chiedere perché la versione ufficiale dell'Olocausto viene oggi diffusa tanto ampiamente[1] da diverse e opposte istituzioni politiche. E' forse il risultato di una propaganda altamente sofisticata e orchestrata dagli ebrei? Non ne sono più tanto sicuro.
Di primo acchito, la risposta a queste domande è assai semplice, la devastante immagine di Auschwitz e il Giudeocidio Nazista sono argomenti autosufficienti per condannare il nazionalismo, il razzismo e il totalitarismo. All'interno dell'accettata versione ufficiale dell'Olocausto, ognuna di queste ideologie viene considerata un nemico dell'umanità. Ma poi, si deve ammettere che non è né il nazionalismo, né il razzismo, né il totalitarismo che uccisero tanti esseri umani innocenti. Le ideologie non uccidono, sono sempre gli uomini che uccidono, indipendentemente dalle ideologie.
Ma la versione ufficiale va un po' oltre, con l'immagine di Auschwitz nel fondo della nostra mente, i nostri pensatori e politici liberali dell'Occidente ci descrivono entusiasticamente una visione ingenua della nostra realtà sociale, presentandoci una semplicistica divisione binaria. Da una parte c'è la società aperta, dall'altra ci sono i suoi numerosi nemici. Secondo questa visione del mondo, c'è una sola società aperta, ma numerosi sono i suoi nemici; è importante sottolineare che il concetto di società aperta è un concetto vuoto, in pratica significa molto poco, per non dire nulla. A quel che sembra, per diventare membro dell' esclusivo club della società aperta, si deve semplicemente sostenere le guerre giuste. Il presidente Bush, un uomo che è ben lungi dal possedere grandi doti di eloquenza, è stato inaspettatamente preciso nel presentare proprio questo assioma post-Auschwitz occidentale: State con noi o contro di noi.
Stare con noi, cioè stare con la società aperta, vuol dire che credete che siamo stati noi a liberare l'Europa, che siamo stati noi a liberare Auschwitz, che siamo stati noi che abbiamo salvato gli ebrei, e che siamo sempre noi che portiamo la nozione di democrazia negli angoli più remoti di questo pianeta turbolento. Stare con noi significa che accettate il fatto che noi rappresentiamo la voce del mondo libero. Significa anche che voi sapete di essere liberi incondizionatamente. Si tratta fondamentalmente di una nuova forma di tautologia: siete liberi anche se non lo siete. Stare con noi vuol dire che credete che il mondo sta progredendo rapidamente verso una divisione ancora più grande, vale a dire uno scontro di civiltà, in cui voi rappresentate un essere umano illuminato, buono e innocente, appartenente alla civiltà Giudeo-Cristiana, e gli altri sono malvagi fondamentalisti delle tenebre o per lo meno potenziali malvagi. Stare con noi vuol dire che ci si aspetta da te che tu non faccia troppe domande riguardo alla nostra condotta immorale.
Per esempio, non devi chiedere perché il Bombardiere Harris & Co[2] ha assassinato 850.000 civili tedeschi, bombardando le città tedesche invece dell'infrastruttura industriale nazista.
Essere un individuo libero in una società aperta significa che tu non devi mai azzardarti a fare domande riguardo Hiroshima. Nel caso tu sia abbastanza stupido da porre queste domande, faresti bene a farti subito furbo e accettare la verità ufficiale: Hiroshima era il modo migliore per porre un termine a quell'orribile guerra. Essendo un individuo libero quindi tu non farai domande riguardo alla moralità che si nasconde dietro l'uccisione di 2.000.000 di persone in Vietnam. Stando con noi non hai bisogno di porre tutte quelle stupide e noiose domande, perché devi ricordare che Auschwitz è stato il male supremo. Auschwitz è stato il fondo della malvagità umana e non devi mai dimenticare che siamo stati noi a metterci fine.
Diciamo la verità: Auschwitz è stato senza dubbio un luogo orribile, ma sfortunatamente non è il male ultimo, perché il male non ha né limite né scala. Poi, se si vuole essere storicamente precisi, dobbiamo dire che non è vero che siamo stati i liberatori di Auschwitz. A quanto pare, fu Stalin, l'altro male. Fu Stalin che diede a tanti ebrei, a tanti prigionieri di guerra, prigionieri politici, zingari e a tanti altri detenuti la possibilità di vedere la luce del sole. Ma ancora una volta, dal momento che siete esseri liberi appartenenti alla società aperta non avete veramente bisogno di fare attenzione a simili dettagli secondari della storia. Sembrerebbe che Auschwitz sia un tassello essenziale della nostra auto-immagine di virtuosi occidentali.Quando serve il petrolio iracheno, il presidente americano non deve fare altro che paragonare Saddam a Hitler. Poi veniamo a sapere che il popolo iracheno deve essere liberato dal suo 'Auschwitz'. Già sappiamo quali sono state le conseguenze inevitabili.
Dal momento che Auschwitz è così importante per i dirigenti politici americani, non sorprende che non troppo lontano dalla residenza del presidente degli Stati Uniti ci sia un grande museo dell'Olocausto, dedicato alla memoria degli ebrei e dei loro eroici liberatori. Il museo non riguarda le persone e nemmeno i crimini contro l'umanità, riguarda invece la continuazione dell'illusione della società aperta. Riguarda il mantenimento di una interpretazione particolare della storia. Riguarda l'idea che noi abbiamo ragione e gli altri, chiunque siano, hanno categoricamente torto.
Questo museo non è veramente sulla sofferenza ebraica. Suppongo che esso non spiegherà ai suoi visitatori alcuni fatti storici fondamentali. Per esempio, non sarà spiegato alla folla che ci sfilerà dentro che il governo americano adottò una politica di immigrazione fortemente restrittiva, mai modificata nel periodo 1933-1944,[3] per bloccare l'immigrazione ebraica. Eviterà altresì di illustrare il fatto che il governo americano si rifiutò di intavolare o ostacolò profferte tedesche di trasferire ebrei da territori controllati dai nazisti. Più di ogni altra cosa il museo nasconderà il fatto accertato che l'aviazione americana non ricevette mai l'ordine di mandare in frantumi la fabbrica della morte nazista. Non furono mai bombardate le ferrovie che conducevano ad Auschwitz e ancor meno fu bombardato il campo di Auschwitz, né dalla RAF inglese, né dall'aviazione americana. Sembrerebbe che nei centri decisionali americani ci sia stata per tutta la guerra una vera e propria negligenza assassina su questo punto. Per esempio, il 20 agosto 1944, ben 127 fortezze volanti, scortate da 100 aerei da combattimento Mustang bombardarono con successo una fabbrica a meno di 5 miglia da Auschwitz. Nessun aereo fu dirottato per attaccare il campo della morte. (secondo la versione sionista.Nota di merimar)
Questi fatti non verranno mai documentati nel museo americano dell'Olocausto. Essi non combaciano con l'auto-immagine di un'America eroica e giusta. La storia di Auschwitz è in realtà una storia di brutale negligenza anglo-americana. La versione accettabile di Auschwitz è fondamentalmente un mito che ha la funzione di sostenere la pratica espansionista degli Stati Uniti. Auschwitz è la colonna morale portante dell'ideologia americana.
Il museo dell'Olocausto è stato costruito per dire agli americani quello che può accadere quando tutto volge al peggio. Per quanto triste possa sembrare, nell'America contemporanea, tutto sta volgendo al peggio, malgrado il museo. La ragione è semplice, quando l'immagine del male si fa fermentare nella propria eredità culturale solo come attribuibile all'altro, allora si può diventare ciechi davanti al fatto che il male sei proprio tu. Come già i loro fratelli israeliani, gli americani hanno dimenticato come guardare a se stessi.
Nel caso dell'America, la versione ufficiale dell'Olocausto serve la filosofia espansionista della destra. Allo scopo di prevenire un'altra Auschwitz, gli americani manderanno i loro eserciti in Vietnam, in Corea, in Irak. Essi sono sempre i liberatori. Fino alla fine della guerra fredda, c'erano i comunisti da combattere, un male concreto e reale; ma ora il male sta diventando sempre più astratto. In realtà, l'unico modo per dare un volto concreto ad un nemico indefinito è di equipararlo a Hitler. Il caso dell'Europa è leggermente diverso. Per quanto possa sembrare strano, in Europa è la sinistra parlamentare che trae i benefici dallo sfuttamento di Auschwitz. Fintantoché Auschwitz resterà profondamente radicato nel discorso politico quotidiano, la destra non potrà mai alzare la testa.[4] La sinistra dominante europea dipende oggi totalmente dalla versione ufficiale dell'Olocausto e di Auschwitz.
A quanto pare, Auschwitz è l'ultima barricata della sinistra (parlamentare) contro la rinascita della destra. In Europa, qualsiasi sentimento di aspirazione nazionale, o solo una preoccupazione nazionale che può apparire xenofoba viene immediatamente contrastata come se fosse una rinascita del nazismo. All'interno di questa opprimente visione del mondo, alla gente non è più permesso di esprimere un qualche amore per il proprio paese. Inoltre, dal momento che essa è politicamente dipendente dall'immagine dell'ebreo come vittima innocente, la politica dominante della sinistra europea non potrà mai sostenere pienamente la causa palestinese.
A quanto pare, Auschwitz è diventato un simbolo del legame tra la sinistra parlamentare europea e la destra espansionista americana.[5] Per entrambi Auschwitz è un'icona della minaccia contro l'immagine della società aperta; nella prospettiva di questo legame fatale, qualsiasi genuina politica di sinistra europea è destinata a essere spinta al margine. Qualsiasi forma di politica genuinamente di sinistra è destinata ad essere presentata come una politica sovversiva ed estremista. Nel marzo 1988, Robin Cook, allora ministro degli affari esteri inglese, fece una visita diplomatica in Israele. Mentre si trovava in quel paese, Cook giustamente rifiutò di visitare lo Yad Vashem, sostenendo che era preoccupato del futuro e non del passato. Non molto tempo dopo Cook perse il posto. Il rifiuto di inchinarsi davanti alla versione ufficiale di Auschwitz gli costò il ministero degli esteri. Non furono gli ebrei che lo cacciarono da quel ministero. Fu il partito laburista, un partito parlamentare della sinistra europea. E così, Auschwitz è lì per protrarre il mito della società aperta, è lì per presentarci un'illusione di identità occidentale liberata. Finchè ci sarà Auschwitz nel cuore della nostra politica quotidiana, noi saremo tutto all'infuori che liberati. C'è vita dopo Auschwitz e questa vita ci appartiene. Faremmo meglio a farne qualcosa di utile. Se c'è qualcosa che non dovremmo mai fare, questo sarebbe di non uccidere nessuno nel nome di Auschwitz.
E' invece esattamente ciò che stiamo facendo.
Gilad Atzmon
Fonte.www.counterpunch.org/atzmon01292005.html
29/0.02.05
Segnalato da: Redlink
*Gilad Atzmon è nato in Israele ed ha effettuato il servizio militare nell'esercito israeliano. E' l'autore di un recente romanzo 'A Guide to the Perplexed'. Atzmon è anche uno dei migliori sassofonisti europei. Il suo ultimo CD 'Exile? (Esilio) è stato dichiarato il migliore CD Jazz dell'anno da parte della BBC. Vive a Londra.
NOTE:
[1] Al punto che qualcuno comincia a chiedersi se la commemorazione del 'Giorno della Memoria' con documentari, cerimonie ufficiali, messe e prediche religiose, film hollywoodiani, testimonianze, discorsi di politici di tutte le tendenze, presentazioni di libri, poesie, concorsi nelle scuole, con una lunga e insistente programmazione di tutte le reti televisive e radiofoniche, con articoli di prima pagina di tutti i quotidiani, manifesti, ecc non corra il rischio di diventare controproducente (ndt).
[2] Arthur Harris (1892-1984) teorico e responsabile britannico dei bombardamenti sui civili tedeschi tra il '40 e il '45.
[3] Nè naturalmente il museo spiegherà che questa politica di immigrazione restrittiva era appoggiata (sembra assurdo ma è vero!) dalla principale organizzazione sionista americana che per voce di un suo dirigente, Stephen Wise, con l'approvazione del presidente della Organizzazione sionista mondiale, Weizman, si oppose all'abolizione delle restrizioni sull'immigrazione ebraica in America nella speranza che questa immigrazione si dirigesse verso la Palestina al fine di costituirvi al più presto una maggioranza ebraica e uno stato ebraico sionista (vedi Lenni Brenner, 'Zionism in the Age of the Dictators' Cap. 13, edizione Online, dove tutta la vicenda è esposta con dovizia di particolari.) (ndt).
[4] Questo è vero per la destra di tutti i paesi europei, come ad esempio la destra di Le Pen in Francia o la destra austriaca di Haider, ma non per la destra trasformista di AN in Italia. Fini ha fatto dell'alleanza con Bush e Sharon e del sovvertimento della precedente politica antisemita i cardini del rinnovamento del fascismo italiano. Fini ha capito che all'estrema destra oggi conviene adottare la stessa politica dell'Olocausto adottata dalla destra USA (ndt).
[5] Blair e il partito laburista inglese ne sono gli esempi più eclatanti (ndt).
LEGGI ANCHE:«LA STORIA SIAMO NOI» O «LA STORIA LA FANNO LORO»?
sabato 31 ottobre 2009
Gilad Atzmon: mandiamo i sionisti in un altra galassia
DOPO TUTTO SONO UN VERO EBREO SIONISTA

Di Gilad Atzmon, 27 Ottobre 2009

Sono un sopravvissuto dell’Olocausto

Sì, sono un sopravvissuto, perché sono riuscito a sopravvivere a tutti i racconti spaventosi dell’Olocausto: quello sul sapone
quello sui paralumi, quello sui campi, quello sulle fucilazioni di massa, quello sul gas e quello sulle marce della morte
Sono riuscito a sopravvivere proprio a tutti. Nonostante tutte queste storie che ti infliggono la paura, instillate di proposito nella mia anima sin da quando ho aperto gli occhi, sono diventato un essere umano efficiente e persino di successo. In qualche modo, sono sopravvissuto all’orrore, malgrado tutto. Sono riuscito persino ad amare il mio prossimo. Nonostante tutto questo indottrinamento, pauroso e traumatico, sono riuscito miracolosamente a padroneggiare il mio suadente sax contralto, invece del lamentoso violino.

In realtà, ho già deciso che, nel caso la Regina – o qualsiasi altro membro della Famiglia Reale – dovesse prendere in considerazione di fare di me un “Sir” per i miei meriti bebop, o addirittura per aver affrontato la barbarie sionista con la mia semplice penna, cambierò immediatamente il mio cognome da Atzmon in Vive, solo per diventare il primo e unico Sir Vive.

Sono anche totalmente contrario al negazionismo dell’Olocausto

Sono chiaramente indignato con quelli che, in nome dell’Olocausto, negano i genocidi che stanno avvenendo ora. La Palestina è un esempio, l’Iraq è un altro e quello che è previsto per l’Iran è probabilmente troppo spaventoso da esaminare.

L’Olocausto è una religione relativamente nuova
E’ priva di misericordia o di compassione: al contrario, essa promette vendetta per mezzo del castigo. Per i suoi seguaci, è qualcosa di liberatorio perché permette loro di punire tutti quelli che vogliono fino a quando ne ricevono piacere. Questo potrebbe spiegare perché gli israeliani sono arivati a punire i palestinesi per crimini che furono commessi dagli europei. E’ chiaro che la nuova religione emergente non riguarda solo l’”occhio per occhio”; in realtà, si tratta di un occhio per migliaia e migliaia di occhi.

Un mese fa, mentre visitava Auschwitz, il ministro della difesa israeliano Ehud Barak ha lasciato un’annotazione nel libro ufficiale dei visitatori: “una forte Israele è sia la consolazione che la vendetta”[6]. Nessuno potrebbe riassumere meglio le aspirazioni di questa religione. La religione dell’Olocausto non offre redenzione. E’ una manifestazione rozza e violenta di vera brutalità collettiva. Non può risolvere nulla, perché l’aggressione può solo provocare sempre nuove aggressioni. Nella religione dell’Olocausto non c’è nessuno spazio per la pace o per la grazia. Prendete esempio da Barak: è nella vendetta che trovano la loro consolazione.

Negare il pericolo causato dalla religione dell’Olocausto e dai suoi seguaci significa rendersi complici di un crimine crescente contro l’umanità e contro ogni possibile valore umano.

Sono anche totalmente a favore del Progetto Nazionale Ebraico

Qualcuno crede che dopo 2.000 anni di “Diaspora Fantomatica” gli ebrei abbiano il diritto ad una “madrepatria nazionale tutta loro”. A quanto pare i sionisti la volevano sinceramente. Lo stato ebraico ora è sufficientemente reale da aver trasformato l’intero Medio Oriente in una bomba a orologeria.

Riesaminare il record israeliano dei crimini contro l’umanità compiuti negli ultimi sessant’anni non lascia molto spazio alle congetture. Stiamo parlando di una società patologicamente sinistra. Quindi, se qualcuno di noi potrebbe concordare sul fatto che gli ebrei debbano avere un ipotetico diritto a una terra tutta loro, il pianeta terra non è certo il luogo ideale per una roba del genere.

Quindi, inviterei la NASA a intervenire e a fare uno sforzo particolare per trovare un pianeta alternativo adatto alla madrepatria sionista, in un altro spazio o anche in un’altra galassia. Il Progetto Sionista Galattico significherebbe il passo immediato dalla “terra promessa” al “pianeta promesso”. Direi di sottolineare in modo entusiastico che, invece di cercare “una terra senza popolo per un popolo senza terra”, quello che vogliamo davvero è un “pianeta solitario”. Potrebbe essere persino desertico, visto che dicono di sapere come far fiorire un deserto. In un pianeta tutto loro, i sionisti galattici non avrebbero bisogno di opprimere nessuno, né di praticare pulizie etniche, non dovrebbero più chiudere le popolazioni native in campi di concentramento, perché non vi sarebbero popolazioni native nei dintorni da maltrattare, affamare, uccidere ed epurare. Non dovrebbero più gettare fosforo bianco sui loro vicini perché non avrebbero nessun vicino. Raccomando vivamente la NASA di cercare un pianeta che abbia una gravità molto debole in modo che la gente possa girovagare facilmente. Dopo tutto, desideriamo che i nuovi Sionisti Galattici si godano il loro progetto futuribile proprio come i palestinesi e molti altri potrebbero godersi la loro assenza.

Traduzione di Andrea Carancini. Il testo originale è disponibile all’indirizzo:

Riconosciuto recentemente essere un “mito” dal museo israeliano dell’olocausto Yad Vashem:

Un fatto storico protetto dalla Legge Europea

Si tratta di una narrazione leggermente fuorviante. Se i nazisti fossero stati interessati ad annientare l’intera popolazione ebraica europea come sostenuto dalla narrazione ortodossa e sionista dell’olocausto, allora è piuttosto oscuro quello che li indusse a far marciare quanto rimaneva dell’ebraismo europeo verso la loro madrepatria nazista in rovina in un’epoca in cui era chiaro che stavano perdendo la guerra. Le due narrazioni, l’”annientamento” e le “marce della morte” sembrano incompatibili. La questione merita ulteriori approfondimenti. Vorrei solo dire che le risposte ragionevoli che ho scoperto potrebbero danneggiare duramente la narrazione ortodossa dell’olocausto il filosofo israeliano professor Yeshayahu Leibowitz è stato probabilmente il primo a definire l’olocausto come “la nuova religione ebraica”.





30/05/2006

Ad Auschwitz Benedetto XVI saluta le poche pecorelle ancora rimaste in vita, «miracolosamente» sopravissute.
In Cina esiste da millenni una religione civile pubblica che nemmeno Mao è riuscito ad abolire: il confucianesimo.
Si può essere buddhisti, taoisti e cristiani - o anche semplicemente atei - ma bisogna assolutamente compiere gli atti rituali del «culto degli antenati».
Oggi il culto continua nei soli riti privati, ma v'erano riti pubblici e grandiosi, eseguiti dall'imperatore e dai funzionari di ogni grado, e un'etica obbligatoria per tutti - ma anche volentieri seguita - che comprende, per esempio, il rispetto dei vecchi, l'assistenza ai genitori, il culto della famiglia intesa come continuità mistica nella vita e nella morte.
I culti confuciani supponevano la presenza di tutti gli antenati, anche gli sconosciuti e dimenticati, come viventi nei discendenti.
I gesuiti di padre Ricci capirono bene che questo culto non era una religione ma una morale civile, e una pedagogia.
Tolta la tonaca, vestirono gli abiti spettanti al loro rango di intellettuali - la veste lucente di seta dei mandarini - e compirono quei riti.
Il Vaticano, troppo estraneo al contesto culturale cinese, sospettò l'idolatria e impose il divieto.
Fu la crisi della penetrazione missionaria cinese: dei portatori di una religione che però non compivano i riti sociali cinesi, restavano radicalmente «stranieri» e non assimilabili.
Oggi il Vaticano ha capito che, se non vuole essere spazzato via del tutto dalla scena del mondo, deve bruciare grani d'incenso alla religione civile universale.

Non sfuggirà infatti che il laico Occidente ha il suo «confucianesimo».
L'Occidente è laico in quanto esige da tutte le altre fedi che si limitino alle sfera privata, non giudichino la società, e compiano il meno possibile di atti esterni; e rigetta l'Islam proprio perché esso resiste a questa riduzione alla coscienza intima e individuale.
Però esige che la sua vera religione venga onorata da tutti in culti aperti e «pubblici».
Di fronte ad essa, non è consentita l'apostasia, e nemmeno il semplice agnosticismo, che invece è raccomandato come atteggiamento laico verso tutte le altre.
E' consentito, anzi applaudito, sostenere pubblicamente che Gesù non è mai esistito, esercitare una critica distruttiva sui Vangeli, proclamare che le cose e le vicende della prima Chiesa non sono andate come essi raccontano; ma nessun dubbio è consentito nella nuova religione.
Essa è protetta dalla per legge da ogni «critica delle fonti», e per legge penale: non c'è segno più chiaro della natura pubblica della fede civile di questo suo essere protetta dallo Stato contro ogni dubbioso o renitente.
Chiunque provi, sulla base di ricerche storiche, a dire che le cose non sono andate proprio come vuole la fede universale, è «revisionista», e quindi espulso dalla comunità.
Ritualmente, ma anche concretamente incarcerato.
Il settimanale Spiegel ha appena intervistato l'iraniano Ahmadinejad.

Costui ha ripetuto in sostanza che, «se» l'olocausto c'è stato veramente, è in ogni caso una colpa degli occidentali, che gli orientali non hanno commesso; e non si vede perché il Medio Oriente debba sopportare la conseguenza storica di questa colpa non sua, ossia lo Stato d'Israele armatissimo, minaccioso e oppressivo verso tutti i suoi vicini.
Come previsto, quest'argomento non è stato ritenuto accettabile.
Verso le altre religioni, specie l'Islam, è incoraggiata la derisione blasfema; ma verso la sola unica vera, non è consentito nemmeno l'agnosticismo.
La semplice professione di estraneità, un semplice «se», bastano a decretare l'accusa di «negazionismo», ossia della suprema eresia, che comporta l'esclusione dal genere umano e la perdita di ogni diritto, anche a quello alla propria difesa legale e militare.
Le altre religioni hanno smesso di bruciare apostati ed eresiarchi; solo la nuova religione prescrive ancora per gli eretici il rogo, non escluso quello nucleare.
Per tutti questi motivi, Benedetto XVI ha fatto benissimo a compiere l'atto di culto richiesto dal nuovo confucianesimo globale.
I cattolici progressisti e conciliari, che spregiano la liturgia come un vecchiume superfluo, dovrebbero ricavare qualche riflessione dai resoconti giornalistici della prima visita del nuovo Papa ad Auschwitz: giornali e TV hanno spiato puntigliosamente fino a che punto Benedetto si conformava alla liturgia della religione totale, e hanno sottolineato i punti in cui è parso discostarsene.

Hanno preso nota di quante volte, anziché la parola «olocausto», ha osato il termine «shoah», più liturgico perché tratto dalla lingua sacra, e la cui pronuncia è segno esterno di una più intima adesione alla fede occidentale universale.
Hanno sottolineato compunti che il Papa è entrato ad Auschwitz con le mani giunte e così ha compiuto tutto il liturgico percorso, la via crucis ebraica, «in preghiera fin dal primo istante del suo ingresso» (La Repubblica).
E come non abbia aperto bocca «se non al termine del canto di lutto del Kaddish», canto altamente liturgico.
Hanno notato con compiacimento la frase papale: «Perché, Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto questo? E' in questo atteggiamento di silenzio che ci inchiniamo profondamente nel nostro intimo davanti alla innumerevole schiera di coloro che qui hanno sofferto e sono stati messi a morte».
Questa frase è stata vista come adesione dovuta alla neo-teologia globale, secondo cui «Dio ad Auschwitz non c'era» perché non è intervenuto a salvare il suo popolo non solo eletto, ma innocente da ogni colpa; da cui discende che da quel momento, tale popolo si autorizza a prendersi da sé ciò che Dio gli aveva promesso e che non ha mantenuto, a cominciare dalla Terra Santa; e a difendersi da sé con 2-300 bombe atomiche.
Per un cristiano, ciò è ovviamente assurdo.

Non solo dove c'è la sofferenza di uomini, là appunto è Cristo crocifisso; ma ad Auschwitz Cristo diede prova della sua presenza, incarnato in padre Kolbe, che diede la vita «per gli amici», mostrando così che l'amore è più grande.
E infatti, Benedetto XVI ha visitato anche la cella di padre Kolbe.
Un piccolo strappo alla liturgia, che viene tollerato perché dopotutto Kolbe ha salvato con la sua vita quella incomparabile di ebrei.
Quel che conta, per il neo-confucianesimo occidentale, è che gli atti del culto pubblico vengano compiuti da ogni religione e da ogni capo religioso.
Atti esterni: sono i segni che contano.
Segni di sottomissione.
Papa Benedetto è stato molto attento.
Come padre Ricci in Cina, ha pronunciato le parole richieste al momento liturgicamente prescritto, per poter poi concedersi qualche verità.
Ha detto che gli ebrei ad Auschwitz sono stati suppliziati come «pecore da macello», espressione che riconosce agli ebrei la loro innocenza radicale anzi sacrale, che li rende immuni da ogni giudizio sui loro atti successivi, anche malvagi.

Il Papa ha confermato che i nazionalsocialisti «con l'annientamento di questo popolo volevano uccidere quel Dio che chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell'umanità che restano validi in eterno».
Non era quello il momento di sottilizzare che Gesù negò quello che gli ebrei gli ripetevano, «nostro padre è Abramo», e anzì asserì che «vostro padre è il diavolo».
Nella liturgia del neo-confucianesimo non c'è spazio per parole in libertà ed espressioni private come ce n'è in abbondanza nella liturgia cattolica post-conciliare.
Come prescritto, si doveva assolutamente stabilire che uccidere ebrei equivale ad «uccidere Dio», magari ritraendosi dall'enunciare il corollario evidente, che dunque gli ebrei e Dio sono una cosa sola.
In compenso, il Papa ha potuto insinuare parole cristiane.
La memoria dei milioni di morti non vuole, ha detto, «provocare in noi l'odio: ci dimostrano anzi quanto sia terribile l'opera dell'odio».
Il ricordo delle vittime, ha continuato, vuole «portare la ragione a riconoscere il male come male e a rifiutarlo; suscitare in noi il coraggio del bene, della resistenza contro il male».
Questo è infatti cristiano.
Anche se, prudentemente, è stato opportuno farlo citando non Cristo, ma Sofocle.

Il Papa ha parlato dei «sentimenti che Sofocle mette sulle labbra di Antigone di fronte all'orrore che la circonda: 'sono qui non per odiare insieme ma per insieme amare'».
Un bellisssimo colpo: non occorre essere cristiani per capire che non si deve continuare ad odiare, che l'intera umanità, anche i nemici, sono chiamati ad amare insieme.
Che a questo deve tendere un culto della memoria.
Notevole, e degno della riflessione dei catto-progressisti, è il tono con cui giornali e TV hanno riportato l'evento cultuale.
Resoconti tutti rigorosamente uguali.
Stesse sottolineature compunte dei medesimi momenti del rito, stessa commossa unzione, stesse parole.
Evidentemente consci, i giornalisti, che non stavano facendo cronaca ma essi stessi partecipavano alla liturgia.
Come i fedeli della Messa di un tempo rispondevano con parole prescritte, anch'essi hanno recitato i responsorii consacrati dalla neo-tradizione.
Non hanno raccontato, ma suonato sull'organo i motivi sacrali, senza alcuna variazione («ne varietur», era scritto sugli spartiti dell'antico gregoriano).
Non più osservatori, ma popolo di fedeli partecipanti al rito centrale della sola religione a cui loro e tutti noi, Papi e imam, siamo obbligati ad aderire.

E infatti la cronaca-liturgia è stata accompagnata da liturgiche rievocazioni della shoah, dai vecchi storici filmati; tutti volti a riconfermare la fede nella «unicità» dell'evento e della sofferenza eletta.
Alla quale è vietato congiungere, ed anche lontanamente paragonare, i milioni di morti nelle tragedie del secolo breve.
Benedetto tuttavia ha ricordato anche i polacchi, i russi (20 milioni di morti nella seconda guerra mondiale) e i «rom» vittime della stessa mano.
Ciò è consentito, purchè non si facciano paragoni fra queste stragi e l'unica shoah.
Se mai, La Repubblica si è permessa di notare ciò che mancava nell'elenco del Papa: «nessuna traccia degli omosessuali deportati nel lager».
Ma i tempi non sono ancora maturi per una liturgia pubblica e obbligatoria di quest'altro, subordinato «agnello sofferente» della modernità.
Però sul cuore del rito, per sapere fino a che punto il Papa aveva rispettato i canoni, i giornalisti non hanno osato esprimere giudizi proprii.
Si sono rivolti - tutti nessuno escluso - ad esponenti della comunità ebraica; com'è giusto, essendo questa l'oggetto del culto, nonché la fondatrice della fede civile globale, e dunque la sola autorità giudicante della congruità degli ufficii.
Così, i cronisti hanno riportato che dalla comunità era venuto «qualche appunto».

Per esempio, si è notato, il Papa non ha ripetuto una pubblica condanna dell'antisemitismo «attuale».
La cosa non deve stupire: anche la Chiesa cattolica conosce la distinzione fra peccato «originale» e peccato «attuale».
Come infatti ogni discendente di Adamo porta le conseguenze del peccato «originale» anche se non compie peccati «attuali» personali (e nel cristianesimo ne va lavato col battesimo), così nella nuova religione totale tutti i non-ebrei (anche i lontanissimi persiani) sono colpevoli in quanto discendenti di Hitler; ed essendo la loro natura indebolita dal peccato originale, sono inclini a commettere quell'antico peccato anche oggi.
Per esempio, se obiettano alle 200-300 atomiche di Israele, e all'oppressione che fanno soffrire ai palestinesi, i non-ebrei si macchiano di «antisemitismo».
Per questo l'anti-sionismo è smascherato costantemente come una maschera dell'antisemitismo.
E se un palestinese hizbullah spara e uccide un ebreo, non compie un omicidio, ma un sacrilegio, perché ripete la colpa originaria.
Perciò tutti, anche il Papa, devono costantemente «mettere in guardia» dall'antisemitismo, dal negazionismo e dal revisionismo.
A questo si congiunge il secondo «appunto».
Infatti Benedetto, ha rilevato il capo della comunità ebreo-polacca Kadlcik, non ha ricordato «tutte le altre sofferenze patite dagli ebrei prima e dopo l'olocausto».

Kadlcik ha rilevato che al contrario, Giovanni Paolo II ha sempre ripetuto: «Le sofferenze degli ebrei non sono cominciate nel '41 e non sono finite nel '45».
Questo è un punto teologico della più evidente importanza per la nuova religione: non deve ridursi, come il confucianesimo, ad un culto degli antenati.
Chi vuole essere ammesso ai benefici sociali del rito pubblico, non basta dunque che celebri l'olocausto.
Deve proclamare il concorso della sua colpa in ciò che gli ebrei hanno sofferto «prima e dopo».
Che non significa solo riconoscere che quella degli ebrei è una sofferenza metafisica, non paragonabile ad alcun'altra; si deve anche capire, anzi far propria intimamente l'idea che gli ebrei stanno soffrendo anche oggi per colpa nostra attuale; e per questo si armano, spingono gli USA a incenerire l'Iraq e l'Iran, e calpestano i palestinesi.
Israele è infatti minacciata «nella sua stessa esistenza» (recita la neo-liturgia) in modo permanente - ne segue che, per cercare di vivere tranquilla, e alleviare almeno un poco la propria sofferenza, deve per forza destabilizzare attorno a sé una vastissima popolazione umana, spargendo morte e uranio impoverito, distruggendo colture e civiltà inferiori nel raggio di migliaia di chilometri.
Perché «Dio ad Auschwitz non c'era» e diciamolo pure, non c'è nemmeno altrove.
Dunque spetta ad Israele farsi Dio.
E se per questo devono far soffrire altri, non importa: le sofferenze altrui valgono infinitamente meno di quella eterna e sacra degli eletti.

Furio Colombo, autorizzato dalla sua triplice veste di giornalista, ebreo e vittima, non ha avuto bisogno di raccogliere le lagnanze degli eletti.
Le ha espresse lui stesso con la dovuta crudezza su L'Unità, sotto il titolo «Un papa revisionista».
Il Papa è revisionista perché ha provato a dire che anche i tedeschi sono stati vittime ingannate da una dittatura criminale.
«Ha parlato da tedesco», e non da vero adepto della fede pubblica.
«Ha nominato Stalin fra i mali del mondo, mai Hitler».
«Non ha ricordato la Rosa Bianca».
Ha fatto una lista delle «altre vittime» che non è piaciuta, perché ha dato l'impressione di confondere tra quelle il popolo eletto.
Eccetera, eccetera.
L'accusa peggiore, per le conseguenze che comporta, è la prima.
Infatti il rabbino Di Segni ha sottolineato la frase sul popolo tedesco, «come fosse egli stesso vittima e non, invece, parte dei persecutori».
Altri hanno ricordato che i tedeschi furono «i volonterosi carnefici di Hitler», ed è una risposta adeguata nel quadro della liturgia, di fronte al maldestro revisionismo pontificale.
In questo revisionismo, c'è il seme di un giudizio «laico» in quanto storico, che non può essere ammesso nella religione pubblica: come c'è una sola vittima collettiva e innocente, ci dev'essere un colpevole collettivo e metafisico, eterno, fissato dal rito una volta per tutte.

In ogni caso, forse Benedetto ha evitato il peggio, evitando di menzionare la sofferenza attuale inflitta ai palestinesi, la fame, il soffocamento, la mancanza di cure.
Quella sofferenza è laica e banale; fa parte della cronaca, non della storia sacra.
Queste lagnanze tuttavia ci dicono qualcosa di inquietante.
Una religione pubblica sconta e ammette l'inevitabilità di una qualche ipocrisia, di solito le basta il compimento degli atti esterni di latria, la cerimonia.
Qui, gli oggetti del culto pretendono dal Papa l'adesione intima della coscienza al sacro racconto, al sacrificio fondante dell'ebraismo supremo; senza riguardo per la fede di cui il Papa è capo, il cui racconto sacro, il cui sacrificio fondante, ai loro occhi non merita rispetto e non vale nulla.
Nessuno ha rivendicato il diritto del Papa al suo proprio racconto, perché questo deve restare intimo e privato - come un sogno o un delirio - e non pretendere lo status di religio riconosciuta.
Questo ci dice chiaramente che il culto dell'olocausto non è solo la religione civile dell'epoca; è la sola religione rimasta.
Non si contenta di cerimonie, esige riti sacramentali.

E inoltre, questa religione civile non è così innocua (o benefica) come il confucianesimo.
Essa ha conseguenze politiche su tutta l'umanità, nel nostro oggi.
E conseguenze gravi, in termini di guerre ed oppressioni.
A questo punto, rifiutarsi di bruciare il grano d'incenso al nuovo Cesare-Dio non sarà uno stretto dovere, per dei cristiani?
Qualche giovane prete, angosciato, mi ha scritto in questo senso.
Ma non ne accusiamo Benedetto: dopo il Concilio, siamo tutti ormai abituati a dare poca importanza agli atti rituali, abbiamo perso il senso del loro valore sacramentale.
Per questo è facile aderire alla religione civile totalitaria.
Senza la piena consapevolezza di ciò che questo significa.
Per tornare cristiani, bisogna percorrere una lunga strada a ritroso.
Per adesso, siamo confuciani.




Nota.
Sul numero degli ebrei uccisi nella seconda guerra mondiale

http://www.vho.org/aaargh/ital/ital.html


Statistiche sull'Affiliazione Religiosa del 1950

Quando noi sentiamo i giornali e le televisioni parlare di 6.000.000 di Ebrei uccisi nei campi di sterminio non ci viene mai indicata la fonte di questa cifra. Ebbene la fonte é solo una ed é l'Enciclopedia Ebraica dove il totale e di 5.820.960. Adesso, io sicuramente non sono uno storico, ma mi hanno sempre insegnato che bisogna diffidare delle cifre che vengono fornite da una delle due parti coinvolte, e che per lo meno più di una fonte deve essere citata. La cifra di 6 000 000 dopo essere stata ripetuta per Milioni
di volte nei giornali, televisioni e film di Hollywood é diventata ufficiale. Questo nonostante, gia alla fine della guerra, si fosse in possesso di statistiche accurate sul numero degli Ebrei prima e dopo la
guerra, e dei loro movimenti migratori fuori dall'Europa, verso l'America la Palestina e la Russia.
Secondo l'Appendice N°VII, "Statistiche sull'Affiliazione Religiosa", del libro del Senato Americano "A Report of the Committee on the Judiciary of the United States Senate" del 1950, il numero di Ebrei nel mondo in quell'anno era di 15,713,638 (vedi foto a lato). La stessa fonte nel 1940 riporta il numero di Ebrei nel mondo a 15,319,359. Se lo studio statistico del governo Americano é corretto la popolazione Ebraica non diminuì durante la guerra, ma subì un piccolo incremento.
Se in 3/4 anni i tedeschi avessero fatto sparire 6 milioni di ebrei, si potrebbe concludere che c'è stato un olocausto. Ma da dove proviene la cifra di 6 milioni? Questa cifra ci viene presentata come derivante da studi scientifici. In realtà è stata introdotta per la prima volta al Tribunale di Norimberga, da Höttl, che non aveva veste di testimone, presentata in una sua deposizione scritta, ma non davanti ai giudici. Höttl racconta che Eichmann avrebbe detto d'essere saltato di gioia apprendendo che 6 milioni
di ebrei erano stati liquidati.
La testimonianza di Höttl fu accettata dalla corte senza che la difesa potesse esaminare il teste. Höttl nonstante fosse stato un membro delle SS che si macchio di crimini dopo la sua confessione fu rilasciato e comincio a lavorare come agente per la CIA. Nel 2001 la CIA rese pubblica la cartella
su Höttl (scritto anche Hoettl) intitolata, "Analysis of the Name File of Wilhelm Hoettl" di circa 600 pagine. Nel documento Höttl viene descritto come una fonte poco attendibile che regolarmente fabbricava informazioni per chiunque lo avrebbero pagato. Nelle parole di uno dei ricercatore della CIA:
«Hoettl's name file is approximately 600 pages, one of the largest of those released to the public so far. The size of the file owes to Hoettl's postwar career as a peddler of intelligence, good and bad, to anyone who would pay him. Reports link Hoettl to twelve different intelligence services,
including the U.S., Yugoslav, Austrian, Israeli, Romanian, Vatican, Swiss, French, West German, Russian, Hungarian and British.»
Dalla cartella della CIA emerge anche l`interessante fatto che Höttl poco dopo il suo arresto nel maggio 1945 cominciò subito a lavorare per il U.S. Office of Strategic Services (OSS) predecessore della CIA e che fu allora, quando lavorava per l`OSS, che "confessò" la cifra di sei milioni. Nel profilo della CIA su Höttl dopo il suo arresto egli viene descritto:
«Upon his arrest, Hoettl played to the interests of his captors ...»
La prima apparizione della cifra di "sei milioni di morti" avviene nel`Ottobre del 1919 sulla rivista Ebraica di New York, The American Hebrew. (clicca sull`immagine per leggere l`articolo)
Come se non bastasse la cifra dei Sei Milioni appare incredibilmente gia 25 anni prima! Nel 1919 un ex governatore dello stato di New York, Martin Glynn, pubblico un`articolo intitolato, "The Crucifixion of Jews Must Stop!," sul quotidiano ebraico americano, American Hebrew di New York, dove egli ripetutamente parla "dell`imminete morte di sei milioni di ebrei in europa" in quello che egli chiama un`"olocausto".
Nel 1983 un ricercatore, che si firma Walter Sanning, ha prodotto uno studio statistico - "The dissolution of Eastern European Jewry" (La dissoluzione dell'ebraismo est europeo) - sui trasferimenti delle popolazioni ebraiche dell'Europa Orientale, ove precisa che una parte cospicua è emigrata,
durante la guerra e dopo, in Palestina, altri negli USA, in Cina, in Sud America. Ad altri ebrei, fra quelli trasferiti all'est dai tedeschi, i sovietici non consentirono di ritornare all'ovest. In conclusione, afferma
Sanning, gli ebrei che avrebbero potuto essere sterminati dai nazionalsocialisti erano 3/400.000. Tutti gli altri ebrei si sa che non sono morti, ma sopravvissuti alla guerra.
Di fronte alla serietà dello studio di Sanning, gli storici ebrei sono costretti ad ammettere che non c'è stato sterminio, ma che vi sono comunque stati massacri qua e là. Gli storici ebrei sanno che 6 milioni di morti è una cifra, in quel contesto, impossibile (ciò è quanto sono costretti ad ammettere nelle loro pubblicazioni che hanno diffusione ristretta, mentre al grande pubblico le lobbies giornalistiche e televisive seguitano a propinare la leggenda dei 6 milioni).
D'altronde in Das jüdische Paradox (Europaische Verlagsantstalt, 1976, p. 263), Nahum Goldmann, che fu per parecchi anni presidente del Congresso mondiale ebraico, scrive questo:
«Ma nel 1945 c'erano circa 600.000 ebrei sopravvissuti nei campi di concentramento che nessun paese voleva accogliere».
Se i nazisti avessero voluto sterminare gli ebrei, come mai 600.000 di essi hanno potuto sopravvivere ai campi tedeschi? Fra la conferenza di Wannsee, nella quale si dice sia stato deciso lo sterminio, e la fine della guerra, itedeschi avevano avuto tre anni e tre mesi per compiere la loro opera.
Fonte Maurizio Blondet
Bruno